03 gennaio 2019

Oggetto vivente. A Foligno, l’omaggio di Franco Cecchini alla Calamita di Gino De Dominicis

 

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Un’opera d’arte, pur rimanendo fedele alla propria unicità, è in grado di relazionarsi con molteplici contesti e realtà, dimostrando così un coefficiente di duttilità allo spazio ospitante. Relativamente a un’operazione artistica della dimensione, sia critica che fisica, della celebre Calamita Cosmica di Gino De Dominicis, il dialogo con l’ambiente espositivo o con il paesaggio riveste un’indubbia centralità. A fronte di quanto introdotto, la mostra “Franco Cecchini: L’Oggetto Vivente”, a cura di Italo Tomassoni e ospitata presso gli spazi del Centro Italiano Arte Contemporanea di Foligno, edifica un valido momento d’approfondimento sulle possibilità di dialogo fra realizzazione artistica e luogo ricevente, attraverso la selezione di una famiglia di più di quaranta scatti che il fotografo marchigiano ha dedicato a quest’opera paradigmatica. Difatti Calamita Cosmica, catturando l’attenzione dell’autore, negli anni recenti è stata ospitata in sedi dal respiro internazionale come la Reggia di Versailles, la Mole Vanvitelliana di Ancona, la piazza del Duomo a Milano, il Forte di Belvedere di Firenze, l’ingresso del museo MAXXI di Roma e molti altri, tutti palcoscenici che ne hanno valorizzato le facoltà estetiche. 
Giustappunto, l’intervento del fotografo si va a focalizzare sulle anzidette capacità di conversazione dell’opera con la diversificata pluralità dei siti con cui si è rapportata durante la sua storia recente ma senza mai dimenticare quella che, dal 2011, è la sua dimora stabile: l’ex chiesa folignate della SS. Trinità in Annunziata. Pertanto, al fine di scandire la narrazione delle immagini in correlazione ai contesti, il percorso espositivo è suddiviso in Interior, concentrato sulle affinità con l’architettura interna della collocazione attuale, e Exterior, dedicato alle reciprocità fra la grande installazione e il Forte di Belvedere di Firenze. Nel primo caso, come denotabile dagli scatti che ne sottolineano l’armoniosa congruenza con l’antica costruzione neoclassica progettata da Carlo Murena, l’autore è abile nel cogliere l’aspetto ieratico dell’opera immersa nella cornice metafisica di un tempio dalla ritualità arcaica, nonché i conseguenti risvolti sacrali e provocatori, insieme alle qualità formali e puramente visive, con il risultato di farne emergere gli aspetti più enigmatici e soggiacenti. Nel secondo, la componente surreale già riscontrabile nella prima serie viene ulteriormente enfatizzata dal binomio istituito con l’alto potere scenografico di questo rinomato punto panoramico fiorentino. 
Assecondando angolazioni inconsuete che ne rivelano punti di vista particolari ed effetti pittorici, le fotografie ragionano, alle volte, sulla resa massima dei dettagli, annullando qualunque confine fra forma e deformazione, altre invece, sull’analisi della dimensione complessiva derivante dalla sintesi fra arte e scenario circostante, espressa sia in termini naturali catturando la fisionomia supina dell’opera al cospetto del cielo, o meglio, del cosmo, che in cifre artificiali ammirandone la maestosità sullo sfondo dell’immortale profilo urbano rinascimentale di Firenze; innescando un cortocircuito nell’osservatore. 
“L’Oggetto Vivente” è aperta al pubblico fino al 6 gennaio 2019. (Davide Silvioli)

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