11 aprile 2019

Milano Design Week/9. A Casa Corriere, sette artisti interpretano l’iconico freno Brembo

 

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Il rapporto tra arte, industria e design gode di ottima salute. Lo sa bene Milano, che nei giorni del Fuorisalone dà nuova linfa a questo sodalizio. Lo sa altrettanto bene lo scrittore e concept designer Moreno Gentili che per Brembo, eccellenza del Made in Italy in fatto di impianti frenanti per veicoli, ha ideato l’esposizione: “Brembo, Designing Emotions”. Sette artisti sono stati chiamati a reinterpretare la pinza-freno in carbonio ceramico per automobili, Brembo CCM, vincitore del premio Compasso d’Oro del 2004. 
Sembra una scultura, intrigante per forma e colori, quasi un oggetto totemico, ma non lo è. Ciascun artista ha dato il proprio personale contributo a questa definizione, estrapolando l’oggetto industriale dal suo contesto e ricollocandolo, in un gioco “senza freni” di ri-programmazione. C’è chi, come Bruna Ginammi (Bergamo, 1964), mantenendo il freno al suo stato puro, ne ha indagato gli aspetti dinamici (il rosso ferrari) e mistificatori. Con la fotografia Maori line fa raccontare al figlio, dalla chioma leonina, una storia di maschere, tatuaggi tribali e valorosi guerrieri polinesiani. Anche Melina Mulas (Milano, 1960), in Matrice, si serve del mezzo fotografico, ma con un chiaro intento esplorativo. Anziché realizzare un semplice still life del freno Brembo, ha deciso di stampare al torchio la sua immagine, lavorando tra due estremi al massimo grado: analogico e digitale. “È il processo della tecnica litografica tradizionale applicata a supporti polimeri”, spiega Daniela Lorenzi, fondatrice di Atelier Quattordici, che ha collaborato con la Mulas. 
La rete di rimandi e di inedite relazioni si infittisce tra concettualismo e incroci ibridi. Mario Airò (Pavia, 1961) invade il contesto industriale con un esercito silenzioso e serafico, una colonia di lumache di mare. Quella di Rêverie luddista è una forma di protesta non violenta, ridente (per richiamare la sua recente personale da Vistamarestudio a Milano). Il freno si abbandona, tornando gradualmente alla lentezza. La velocità è infatti una sostanza tossica. Sul disco rotante di Round-about di Silvia Codignola (Ivrea, 1962) due figure, calate in una dimensione scenografica scarna e intima, rischiano di rincorrersi per un tempo infinito. A meno che il freno, di un arancione fiammante, installato sulla scultura, non decida di “salvarle”. Il tema dell’instabilità estrema, soprattutto per i piloti di formula Uno, in bilico tra destrezza e frenata, rincorre quello della sicurezza. 
Barbara Fässler (Zurigo, 1962) progetta un castello di carte con i calchi in gesso dell’oggetto. Nell’opera L’ombra bianca, da una partita precaria, in un loop concettuale, si torna alla solidità della matrice freno. 
Sovversiva è, invece, Marzia Migliora (Alessandria, 1972) con Keep Me Safe, il suo freno ribaltato e trasformato in nido. “Vero!”, ci tende a sottolineare l’artista. Le uova di gallina, le piume, i rametti e la mangiatoia originale, con tanto di semi di granoturco, provengono dalla cascina dove viveva il padre. La stessa cascina che ispirò la distesa di pannocchie di Stilleven alla Biennale di Venezia del 2015. Se Marzia Migliora trasforma i materiali conservandone l’espressività specifica, la giovane Ilaria Bochicchio (Battipaglia, 1988) tenta con Happy News di rendere il freno, quasi, irriconoscibile. Strato di colore dopo strato, il freno – e la teca, su cui cola il pigmento giallo – viene consumato, in parte sigillato in una forma postprodotta, in parte restituendo l’interno di un corpo carbo-ceramico. 
Le opere dei sette semionauti, che hanno prodotto percorsi originali tra i segni, vagabondando tra arte contemporanea e creatività industriale, parteciperanno presto a un’asta benefica per finanziare un progetto sociale. Perché l’azienda Brembo, davvero, ri-disegna emozioni. (Petra Chiodi)

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