26 febbraio 2014

Addio ad Angelo Enrico Canevari. Scompare a 84 anni l’artista-scenografo che collaborò anche con Andrea Camilleri

 

di

Angelo Enrico Canevari

Angelo Enrico Canevari nasce nel 1929 in una casa studio nel cuore di Roma, una residenza collettiva abitata da pittori, scultori e intellettuali. Qui vivevano anche suo zio Silvio e suo padre Angelo, impegnati nei grandi cantieri artistici della Roma degli anni ’30. Un ambiente familiare così stimolante colmò le lacune di un’educazione scolastica che la guerra rese discontinua.
Eppure insostituibili maestri per Canevari sono stati Luigi Moretti (grazie alla collaborazione di suo padre con la rivista Spazio), Ettore Colla, Alberto Burri e, negli anni della maturità, Corrado Cagli. Dal suo studio in Via della Lungara a Roma, Angelo Enrico traduce le suggestioni e le domande sollevate dal lavoro di questi maestri con il disegno, una pratica che non abbandonerà mai. 
Le prime mostre sono del 1961, alle gallerie “della Cometa” e “del Corso” dove presenta lavori realizzati a partire dal 1954: ne fanno parte santi guerrieri e scene bibliche. Ciò che colpisce è il modo in cui riesce a rendere a descrivere il dolore, riattualizzando il passato grazie una personale riflessione sulla modernità; Canevari concentra il suo interesse sull’uomo e in questi disegni i suoi personaggi vengono racchiusi in figure robotiche, con volti androgini e muscoli tesi all’infinito.
Angelo Enrico continua l’esercizio del disegno mantenendo alcuni punti fermi: il primo è l’assenza di colore, il secondo il concetto dell’ “analogia”, ripercorrere il passato attraverso la metafora, chiamandolo in causa nel momento in cui svela aspetti che possono esser riattualizzati. Riacquistare un senso misterico del mondo, come più volte afferma Angelo Enrico. 
È quello che accade nei Canopi, sculture in metallo degli anni ’70, un nome che richiama i vasi utilizzato nell’antichità per il culto dei defunti. Sotto un guscio austero l’autore nasconde cuori, chiavi, forbici e altri piccoli elementi del quotidiano: analogia vuol dire qui affermare che la realtà può divenire magica anche nell’oggetto più modesto.
Le Erme sono ciclo cui lavora tra la fine degli anni ’70 e l’inizio del decennio successivo. Nella Grecia ellenica queste statuette erano collocate ai confini di strade come buon auspicio per i viandanti. Anche in quest’ultime Canevari rilegge il tema antico filtrandolo attraverso folklore: parte dal teatro delle marionette siciliane che, come è noto, si ispira a Orlando, Angelica, Rodomonte e agli altri personaggi del ciclo carolingio. I pupi siciliani, in virtù di questa radice popolare, sono per l’artista gli interpreti più incorrotti della tradizione ariostesca.
Dal 1969 inizia l’esperienza nella scenografia al fianco di Andrea Camilleri. Si parte con il Gran teatro del mondo, di Calderón, per passare a Tutti quelli che Cadono e Finale di partita di Beckett, andato in onda sul secondo canale Rai nel 1977. Avere a che fare con la scenografia non è certo una novità per Canevari: anche suo nonno Enrico e il padre Angelo si sono cimentati nel teatro. Con Andrea Camilleri nasce un vero e proprio sodalizio. Il comun denominatore di questi esperimenti teatrali sarà la volontà di rinunciare a una scenografia rigida e limitare il più possibile la cesura tra il pubblico e il palco. Invece di pesanti macchine sceniche, sculture fruibili dagli attori sul palco. Non ultimo l’attenzione alla luce, attraverso la scelta di materiali che variamente la assorbissero o rinfrangessero, e una cauta presenza del colore: un esempio su tutti la versione televisiva di Tutti quelli che cadono, per cui regista e scenografo decidono di comune accordo il bianco e nero, nonostante la televisione fosse già da qualche anno a colori.
La storia artistica di Angelo Enrico Canevari è stata anche storia della sua famiglia; in questa la scenografia affonda le radici nel Seicento, quando Antonio Canevari, architetto alla corte dei Borboni, si cimentava nell’ideazione di apparati scenici per festività religiose e ricevimenti di corte. Com’è avvenuto per suo padre, anche per Angelo Enrico il XVII secolo è denso di spunti, “vivendolo” in un ciclo presentato nel 1984 all’Accademia Spagnola di Roma: il Mirabile Composto si ispira alla definizione berniniana che indica la confluenza di pittura, scultura e architettura in un unico e armonico elemento. Canevari realizza un’installazione a parete costituita da moduli quadrati ricoperti da texture in pelle. Un ciottolo di fiume colpisce le superfici generando concavità che richiamano quelle delle facciate barocche. Com’è avvenuto per la scenografia anche qui la luce riscrive uno spazio interno.
Negli anni 2000 è ancora il disegno alla base delle sue intuizioni, come avviene nelle Strutture, sculture in ferro, resina e cartoni colorati che ricordano un modo di lavorare per filamenti tipico dei primi cicli di disegni e sculture. 
Ma i cavalieri non abitano solo le tre dimensioni: Don Chisciotte e Orlando Furioso tornano ancora nelle tavole che Angelo Enrico (rispettivamente nel 2008 e 2005), dedica ai romanzi cavallereschi; in queste le vicende letterarie vengono rinnovate con un segno veloce e meticoloso e la narrazione ha la freschezza delle sequenze cinematografiche. (Eleonora Minna)

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