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Per tanti utenti di Instagram, e per i suoi 186mila follower, da un paio di giorni le intenzioni sembravano chiare, dopo aver viste postate alcune immagini, e poi altre, e poi altre ancora: Ai Weiwei si è dato “all’assistenza” dei profughi nel Mar Egeo, e più precisamente sull’isola di Lesbo.
Di nuovo in possesso del suo passaporto, l’artista dissidente ha fatto visita al campo di Moria, monitorando con lo smartphone la situazione dei migranti provenienti dalle regioni devastate dalla guerra del Medio Oriente e dell’Africa, sopravvissuti al pericoloso viaggio verso la Grecia.
Uno spaccato di quella che è, anche, un’altra vita quotidiana in Europa, e che nessuno vede. Tra fuochi di fortuna, in aree senza riscaldamento né luce, dove gli sbarchi continuano, e con il pensiero che 700 persone siano morte nell’ultimo anno solo in quel piccolo tratto di mare, una carrellata di immagini – ora in aggiornamento dai musei archeologici di Atene – hanno riscosso immediato successo, forse perché lontane dalla retorica da telegiornale. Trasformando ancora una volta l’arte di Weiwei in qualcosa che ha a che fare con un’azione politica, che permette di mostrare con pochi filtri una condizione dei nostri giorni, con la quale dobbiamo fare i conti. E che solo gli sguardi meno attenti potranno trasformare in voyeurismo.