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Non sono stati una manciata, ma qualcosa come 50 dei partecipanti, molto oltre la metà del gruppo totale. Stiamo parlando delle polemiche che si sono innescate sulla Biennale di San Paolo, a una settimana dalla sua preview, e che riguardano una sponsorizzazione di 40mila dollari provenienti dal consolato della regione Mediorientale, sponsor della manifestazione.
La seconda biennale più vecchia del mondo, nata nel 1951, e che quest’anno vedrà in scena tra gli altri Asger Jorn, il gruppo dei Chto Delat, Dan Perjovschi, il colletivo Eccetera, Jo Baer, Sheela Gowda, Walid Raad e Yael Bartana, sotto la curatela multipla di Charles Esche, Galit Eilat, Nuria Enguita Mayo, Pablo Lafuente e Oren Sagiv, con i curatori associati Benjamin Seroussi e Luiza Proença e un titolo “How to (…) things that don’t exist” che vuole lasciare una porta aperta sull’idea che il potere dell’arte cambi la realtà, è in qualche modo sotto il conflitto di Gaza a migliaia di chilometri. Tra gli artisti partecipanti, inoltre, si mischiano israeliani e palestinesi, come nel caso di Ruanne Abou-Rahme e Basel Abbas che però hanno entrambi firmato la missiva di protesta: Yoel Barnea, console generale, ha spiegato al quotidiano il Globo della sua sorpresa: «Siamo democratici, ci sono diversi punti di vista nel nostro Paese, Non voglio vedere la cultura e la politica mixate. Il nostro patrocinio non sarà ritirato e saremo parte della manifestazione». Oltre a Israele, la Biennale è sostenuta anche da Gran Bretagna, Francia, Germania e Messico. Quello che ancora non è chiaro, perché non specificato nella lettera, è se i firmatari si ritireranno dalla manifestazione se la sponsorizzazione invece resterà. Aggiornamenti in corso.
Avrebbero fatto lo stesso nel caso li avesse sponsorizzato la Russia di Putin?!…