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La mostra “Kounellis Impronte” è stata una scommessa vinta ben prima dell’inaugurazione. Alla vigilia già una notizia promettente: Jannis Kounellis aveva scelto le opere da esporre e ragionava sul migliore allestimento possibile al momento del ritorno all’Itaca celeste il 16 febbraio scorso. Scelte stilistiche compiute, precise volontà imposte, irragionevole non dare seguito al progetto. L’ultima vera personale dell’artista greco trova così posto all’Istituto Centrale per la Grafica nelle sale di Palazzo Poli, le cui finestre danno su Fontana di Trevi. La vista offerta è ciò che di più lontano può esserci dall’arte povera, riabilitata concettualmente dalla scelta di inaugurare la mostra il 14 novembre, in contemporanea con tre diversi opening al MAXXI.
Più spazio per apprezzare le opere, allora. Produzioni grafiche da guardare con stupore, curiosità, eccitazione. Kounellis attraversa tutte le latitudini lasciando segni durevoli del suo passaggio. Materiali di diversa densità emotiva virano verso la concretezza, indagano momenti di vita. Sabbia rossa per le terragraph di The Gospel according to Thomas realizzate a Jaffa con la stamperia israeliana Har-El, ricostruzioni arcaiche di spiritualità scenografica. Polvere di ferro per l’ultimo lavoro grafico dell’artista, realizzato con la Stamperia d’Arte Albicocco di Udine nel 2014: dalle impronte di un cappotto nero la scoperta di plausibili ed efficienti attestazioni di verità. Chiudono la mostra fotolitografie potenti, di chiara fama, già viste. L’inevitabile prezzo da pagare agli onori postumi. (Raffaele Orlando)