26 novembre 2018

Lo stupore di ieri, è ancora oggi. L’arte di Osvaldo Licini, nel racconto di Emilio Isgrò

 

di

Oltre 75mila, a oggi, i visitatori della mostra “Osvaldo Licini. Che un vento di follia totale mi sollevi”, a cura di Luca Massimo Barbero, visitabile fino al 14 gennaio, alla Collezione Peggy Guggenheim di Venezia. Una retrospettiva con più di cento opere, per rileggere la ricerca di Osvaldo Licini nel sessantesimo anniversario del conferimento del Gran Premio per la pittura alla XXIX Biennale di Venezia e della sua scomparsa, avvenuta pochi mesi dopo. Il percorso espositivo parte da tele giovanili e culmina in una cospicua serie di lavori con il soggetto Amalassunta, per ripercorrere, spiega il museo, «Il dirompente quanto tormentato percorso artistico di Licini, la cui carriera fu caratterizzata da momenti di crisi e cambiamenti stilistici apparentemente repentini. L’esposizione mostra la sostanziale coerenza di tale percorso». 
Martedì, 27 novembre, alle 18, all’Auditorium Santa Margherita dell’Università Ca’ Foscari, il ricco programma di attività collaterali che accompagna l’evento espositivo riserverà al pubblico un momento di rara intensità: Emilio Isgrò, grande conoscitore e appassionato dell’opera di Licini, prenderà parte alla serata di approfondimento “Chi cerca suole mai trovar certezza. La poetica di Osvaldo Licini. Emilio Isgrò in una conversazione a più voci tra arte e letteratura”. Durante la serata, moderata da Luca Scarlini, il Maestro dialogherà con Stefano Papetti, Direttore della Galleria Civica di Arte Contemporanea “Osvaldo Licini” di Ascoli Piceno, Daniela Simoni, Direttrice del Centro Studi Osvaldo Licini di Monte Vidon Corrado – dove si è da poco conclusa la mostra “Emilio Isgrò. Lettere” – e Massimo Raffaeli, filologo e critico letterario. Abbiamo contattato Isgrò per due domande, le cui risposte anticipano il tenore della serata. 
Quale è il Suo rapporto con la ricerca e la poetica di Licini? È mutato negli anni? 
«Il mio rapporto con l’arte di Osvaldo Licini si chiama stupore, e tale stupore non è certo mutato negli anni. Rimasi infatti abbagliato quando nel 1956, appena sbarcato a Milano, vidi alla galleria “Il Milione” del mio amico Graziano Ghringhelli un’Amalasunta emergente come un graffio da un incredibile campo azzurro. A quell’epoca i miei interessi di giovane artista andavano prevalentemente alla poesia, ed è chiaro che mi sorprese non poco quanto di “letterario” il quadro esibiva, per giunta in un’epoca in cui dire che un quadro era letterario equivaleva a distruggerlo. Bastava, insomma, sospettare che Giorgio de Chirico avesse letto qualche libro (o addirittura l’avesse scritto) perché la critica diffidasse immediatamente di lui. Nessuno immaginava a quel tempo che presto i collezionisti, travolti dalla poesia concreto-visiva e dall’arte concettuale, avrebbero trovato più parole nei quadri che nei libri». 
A che punto è, oggi, secondo Lei, l’approfondimento sul lavoro di Licini? 
«Credo che la mostra alla Collezione Guggenheim segni la prima tappa per una rilettura di un artista troppo a lungo trascurato soprattutto per la sua singolarità. Si parla per lui, giustamente, del coinvolgimento avuto dalla cultura francese, in particolare da poeti come Rimbaud e Apollinaire o da pittori come Modigliani. Tuttavia, per quanto francesizzante e cosmopolita – si pensi ai suoi trascorsi di impronta futurista – è quasi impossibile dimenticare che il marchigiano Licini aveva studiato a Bologna, e lì aveva sicuramente letto le poesie del romagnolo Giovanni Pascoli non meno di quelle del suo corregionale Giacomo Leopardi. La sua fascinazione simbolista, insomma, non era distante da quella di chi aveva scritto una poesia piena di vento come L’aquilone, anche lui soggiogato dalla lezione dei simbolisti francesi. Quanti aquiloni si vedono nei quadri di Licini? Quante stelle vaganti? Qualcuno ha evocato per Licini un clima palazzeschiano. Ed è giusto. Ma forse non è meno giusto evocare l’ombra di Corrado Govoni, che con una sola poesia visiva, Il polombaro, confermò con Palazzeschi come si potesse essere crepuscolari e futuristi insieme. Il tutto nelle dimensioni di una pagina, come sono spesso le opere di Licini». 
Nei giorni successivi, nelle sale museo sul Canal Grande, continuerà la serie di attività dedicate al pubblico: giovedì 29 novembre si svolgerà la visita guidata tematica condotta da Mattia Patti “Il tempo e gli stili. Il lungo percorso di Osvaldo Lincini” e l’8 dicembre l’appuntamento sarà con “Poesia squisita”, una sfida alla creatività dei partecipanti che, ispirandosi alle opere in mostre, creeranno poesie a più mani, seguendo la pratica surrealista del “cadavre exquis”. Un gioco che dalle sale espositive si estenderà online, invitando tutti a pubblicare poesie realizzate a più mani con l’hastag #poesiasquisita. Qui il calendario del public program. (Silvia Conta
In home e in alto: foto di Matteo de Fina

LASCIA UN COMMENTO

Per favore inserisci il tuo commento!
Per favore inserisci il tuo nome qui