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Non bastava il rogo dei libri e la distruzione del museo archeologico a Mosul, l’Is continua a depredare opere d’arte, bassorilievi, statue, monili, sarcofagi. Un nuovo danno irreparabile al patrimonio archeologico dell’Iraq e del mondo è venuto alla luce pochi minuti fa: i miliziani dello Stato Islamico hanno raso al suolo con una colonna di bulldozer il sito archeologico di Nimrud, sempre nei pressi di Mosul, occupata dal Califfato.
Ma oltre alla spettacolarizzazione della più meschina inettitudine, il saccheggio dei siti archeologici ha uno scopo ben preciso. I terroristi hanno infatti sviluppato una rete via internet attraverso la quale smerciare i tesori razziati in circa 18 Paesi, con Siria, Iraq, Libia, Egitto e Libano in testa.
E per farlo basta davvero poco: sembra infatti che attraverso i social sia molto facile prendere contatti con l’organizzazione per sancire un affare. La cosa che colpisce è pensare che persone così chiuse siano al contrario molto capaci nel marketing, e lo hanno ampiamente dimostrato nei loro plateali atti di terrorismo del resto.
Per concludere un accordo basta cercare i giusti contatti, video e fotografie dettagliate guidano poi il potenziale compratore nella scelta. Una volta individuato l’articolo di interesse, qualche messaggio privato e si passa al contatto diretto. Lo scambio avviene solitamente in centri di smistamento del traffico illegale, come a Losanna in Svizzera per esempio.
La cosa preoccupante è che ci sono centinaia di queste trattative solo su facebook e chissà quante avvengono per altre vie. Le opere d’arte e i reperti vengono usati come merce di scambio per raccogliere soldi, che probabilmente finanzieranno altri atti di terrorismo, insieme a quelli guadagnati con il petrolio, la droga e i rapimenti. Purtroppo però i beni culturali fanno meno clamore e lo scempio continua indisturbato e sempre più redditizio. E chi saranno questi compratori? (Giulia Testa)