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Quante forme può avere un vaso? La risposta potrebbe essere stupefacente, in effetti quando si tratta di costruire intorno al vuoto nulla può darsi per scontato. E se poi, oltre all’aspetto estetico, consideriamo anche i diversi significati antropologici e le sfumature emotive, le possibilità aumentano. Così, nei suggestivi ambienti del primo piano di Assab One, potremo vedere 15 declinazioni formali e non solo di questo oggetto archetipico, come scaturite dal laboratorio che Andrea Anastasio ha curato insieme a 15 studenti dell’ISIA di Faenza, presieduto da Giovanna Cassese e diretto da Marinella Paderni. Si amplia così la proposta dello spazio indipendente per queste infuocate settimane meneghine, contando che, al piano terra, sono già allestite le opere di Johanna Grawunder, Christoph Hefti e Antoni Malinowski, per 1+1+1, il progetto tra design, arte e architettura ideato da Elena Quarestani e a cura di Marco Sammicheli.
Decostruito, frammentato, esploso, il vaso è materia plastica e concettuale a se stante, una struttura che gli studenti hanno progettato senza uno schema precostituito, invitati da Anastasio ad agire in base al momento. Ne sono derivate sagome ridotte all’essenziale oppure espanse, in molti casi irriconoscibili, allestite su sottili piedistalli e all’interno di colonne di filo di ferro, come reperti al di fuori del tempo.