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Il neo sindaco Luigi Brugnaro aveva definito l’operazione come una delle varie cose che fanno del male a Venezia, un po’ come i libri “gender” poi messi al bando, e poi – dopo le infuocate polemiche – riammessi nelle biblioteche comunali.
Parliamo del Padiglione dell’Islanda, diventato noto a tutti nei mesi scorsi come “La Moschea di Venezia”, firmato dall’artista Christoph Büchel e commissionato dall’Art Center Islandese (ICA). Chiuso dalle autorità cittadine a fine maggio, ora l’ICA ha fatto ricorso, e presentato il conto: 360mila euro a titolo di risarcimento dalla città della laguna, una somma non specificata per “danni”. L’avvocato padovano Marco Ferrero, che ha rappresentato i gruppi musulmani locali in numerose occasioni, ha presentato il reclamo al tribunale di sorveglianza della Regione Veneto per conto del centro islandese.
La chiusura, ufficialmente, era stata attuata perché i fedeli e i curiosi avevano più volte sforato la capienza massima dell’edificio, che non aveva servizi igienici e altre amenità, anche se l’ombra di una certa xenofobia, di “paura di attacchi” islamici e simili era ed è ben delineata da queste parti, anche dietro le stesse parole del sindaco.
L’ICA ha inoltre raccolto una serie di testimonianze dai più grandi curatori internazionali (come prove da lasciare alla corte), che garantiscono che la moschea è davvero un’opera d’arte, una piattaforma di dialogo e comunicazione tra le diverse posizioni culturali, e tra chi ci ha messo la mano sul fuoco c’è anche Germano Celant. Ora? Ora si attende l’esame del tribunale di Venezia, domani. La decisione a giorni. E insieme alla riapertura, si spera, un bello schiaffo alla miopia delle istituzioni.