23 maggio 2018

Venezia/3. Spaesamenti da Prada, grazie a tre pensatori assoluti in rapporto con l’arte

 

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Non è una mostra accondiscendente “Machines à penser”, messa in piedi dalla Fondazione Prada nella sede veneziana di Ca’ Corner della Regina, e curata da Dieter Roelstraete. Presentata stamane, in coincidenza con l’opening della 16ma Biennale d’Architettura “Freespace”, è una riflessione sull’abitare e sull’esilio, sull’appartenenza e sull’essere esuli, sul rifugio e sullo sradicamento, navigando attraverso l’indagine di tre figure fondamentali della filosofia e dello studio del linguaggio occidentale: Theodore Adorno, Ludwig Wittgenstein e Martin Heidegger.
In mostra, fotografie, riproduzioni delle baite e dei rifugi dei filosofi, oggetti e mirabilia – la pieta filosofale, per esempio – indagini sugli studi, gli archivi e le case di Hegel, Nietzsche e Shopenhauer, oltre ai tre precedentemente citati (nelle foto di Patrik Lakey) e i vasi che riproducono il profilo e le sfaccettature dei tre pensatori realizzate da Goshka Macuga. E ancora, piccoli dipinti di Gerhard Richter realizzati per la Nietzsche-House in Engadina, per riflettere sul rapporto tra filosofia e natura, come appare nelle bellissime stampe di Guy Moreton, che raffigurano proprio il panorama intorno alla baita di Wittgenstein a Skjolden, in Norvegia, in un lavoro “invitato” da Alec Finlay, dedicato al filosofo e al suo continuo “errare”. Giulio Paolini e le sue pagine e pietre de L’arte e lo spazio. Quattro illustrazioni per Martin Heidegger (1983) rimano con la sala interamente dedicata all’opera di Paolo Chiasera, Condensed Heiddeger’s Hut. Ricostruito un modello della casetta del filosofo in un terreno abbandonato dietro la sua galleria, Chiasera, seguendo le influenze di Eraclito sul pensatore tedesco, bruciò il modello e con le sue ceneri ne fece un dipinto (“Il fuoco sopraggiungendo giudicherà e condannerà tutte le cose”, si legge in un passo attribuito al presocratico), ma c’è anche il capanno di Adorno, rimesso in scena da Ian Hamilton Finlay.
Insomma, più che una mostra da vedere, nel senso comune del termine, è una mostra su cui pensare attentamente, anche rispetto alla condizione comune di essere “persi” nel mondo e in cerca di appigli, e alla quale tentare di presentarsi vagamente preparati, almeno sui concetti di spaesamento che tanto corrispondono con la nostra epoca. In questo caso, però, non fate troppo affidamento sul contemporaneo: le immagini, i progetti di interventi non realizzati, i film di Alexander Kluge che esplorano il rapporto tra pensare/abitare/costruire, non vi verranno particolarmente in soccorso.
C’è altresì un aspetto decisamente lirico, seppur velato, nelle sale veneziane di Prada: è frutto di un allestimento rigoroso e non poteva essere altrimenti, vista la tematica, ma che non per questo risulta eccessivamente cerebrale. Questo, forse, vi farà vagamente sentire a casa.

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