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Intervista a Terrapolis: cinque anni di festival tra arte, femminismi ed ecologia
Progetti e iniziative
Terrapolis – Transversal Ecologies Festival si sposta per la prima volta a Castiglione dei Pepoli (BO) dal 19 al 21 settembre per la quinta edizione. Un festival che non si limita a parlare di ecologia, ma che la pratica in forme ibride: camminate nel bosco e laboratori collettivi, mercati e cucine comunitarie, performance artistiche e concerti. Una città effimera e tentacolare che prende corpo tra piazze, parchi, rifugi e laghi dell’Appennino, mettendo in relazione artistə, collettivi, comunità locali e pubblici diversi.
Il nome del festival richiama il concetto di Terrapolis elaborato da Donna Haraway: non una polis chiusa, antropocentrica, ma un paesaggio in trasformazione, multispecie e contaminato. Sopravvivere su un pianeta infetto non significa cercare di tornare a un Eden perduto, ma imparare a vivere tra tossicità e rovine, attivando forme di solidarietà multiformi: ma come mettere in relazione «senza ridurre a sintesi»?

Con Irene Adorni e Silvia Calderoni, entrambe cofondatrici di Parsec, artist-run space con sede a Bologna, l’intervista che segue ci avvicina un po’ a Terrapolis, senza svelarci tutto: per questo sarà fondamentale esserci. Dal 19 al 21 settembre.
Irene Adorni, artista e curatrice, esplora nelle sue pratiche le relazioni tra corpi, spazi e immaginari, muovendosi oltre i dualismi cercando di suggerire modalità di superamento del pensiero binario, sperimentando collettivamente nuovi dispositivi artistici.
Silvia Calderoni, ricercatrice indipendente e communication specialist, con un percorso che intreccia studi di genere e urbanistica, porta avanti una ricerca queer e curatoriale capace di interrogare i modi in cui abitiamo gli spazi.

Perché Terrapolis? Cosa significa per voi abitare un pianeta infetto attraverso un festival d’arte?
«Questo festival nasce 5 anni fa, in un periodo storico in cui, a livello di letteratura femminista e filosofica, ci si concentrava molto sull’ambito dell’Arts and Ecology. Mentre oggi sembra essere scontato che si stia andando verso un collasso, 5 anni fa c’era una dimensione di allerta, che si concretizzava in tentativi atti a capire come questo collasso si potesse prevenire. Il nome scelto deriva dalla definizione che Donna Haraway fa di un’equazione utopica e speculativa, nella definizione di ciò che non si definisce mai davvero, rimanendo molto sfaccettata: ogni declinazione, tuttavia, mantiene il legame del ‘fare insieme’. Da qui l’urgenza di fare un festival, insieme. Chthulucene, di Donna Haraway, è il testo cardine con cui il pensiero ecologico è arrivato in Italia: il modo in cui Haraway scrive di kinship, di speculazione immaginativa, ci è servito molto per immaginare le modalità con cui abbiamo co-costruito il festival».
Si riporta qui la definizione di Donna Haraway: «Kin is an assembling sort of word. All critters share a common ‘flesh,’ laterally, semiotically, and materially. We are all kin in the deepest sense. Kin-making is making persons, not necessarily as individuals or as humans».

Come avete applicato questo testo?
«È, appunto, utopico e speculativo; l’arte su cui in certi casi ci concentriamo è direttamente legata a temi politici, ma la nostra ricerca è sempre atta a indagare le estetiche contemporanee. È fondamentale per noi collaborare con realtà già presenti nei luoghi in cui vogliamo lavorare. Ad esempio, se facciamo il festival sui colli, dobbiamo capire come fare con chi già lavora in quegli spazi, mentre se stiamo in spazi di quartiere ci avviciniamo alle associazioni che vivono quegli stessi quartieri. L’altra caratteristica è l’avere una visione curatoriale radicata nel pensiero ecologico: ogni anno c’è un testo principale, legato all’approccio dei critical e visual studies. Non c’è un solo pensiero ecologico o un solo femminismo, ci sono declinazioni: ogni anno viene approfondito uno di questi aspetti».
5 anni… come li avete vissuti?
«Al di là del posizionamento politico – che è la base del nostro collettivo e della prospettiva attraverso cui vediamo l’arte – per noi è fondamentale unire studi femministi alle correnti estetiche dell’arte contemporanea. Circa 5 anni fa l’Arts and Ecology è stata istituzionalizzata: il pensiero ecologico è un termine ombrello che essendo intersezionale si configura come un buon filone estetico, filosofico, con tutto ciò che si trova a metà strada, strada che decidiamo di percorrere non solo con mostre e residenze, ma con festival e rassegna. Ogni anno, quindi, un tema viene approfondito. L’anno scorso si sono intersecate estetica investigativa, Forensic Architetcure e laboratori cittadini, attivando suggestioni interessanti, mentre l’anno prima siamo state sul pensiero utopico non in relazione al futuro ma a ritroso, ragionando sul reperto archeologico dell’utopia, sul fossile; prima ancora Anna Tsing, con il fungo e la fine del mondo, in un’estetica delle connessioni e del rinascere nel terreno radioattivo».

Spoiler(s) per questa edizione?
«Avremo la prima italiana di una performer canadese, Anouk Verviers, la quale presenta Building, destroying, and rebuilding cob columns as high as our bodies, performance-installazione collettiva che mette in scena cura, rigenerazione e resistenza.
Wu Ming2, che ha già lavorato in Appennino, condurrà un laboratorio di scrittura creativa che si aprirà con una camminata, realizzata in collaborazione con Boschilla. Il percorso prenderà avvio dal centro storico di Castiglione dei Pepoli e si sviluppa in una graduale discesa verso il lago di Santa Maria. Durante il tragitto, si rifletterà sulle peculiarità del paesaggio, che diventeranno stimolo e materia per il lavoro di scrittura.
Roberto Alfano, con materiali di scarto raccolti a Castiglione dei Pepoli e grazie alla collaborazione di cittadine e cittadini, realizzerà la Baracca: una struttura temporanea che, per tutta la durata del festival, ospiterà il bookshop e l’infopoint.
A livello musicale convergeranno realtà attive nella scena underground di Prato e Bologna, collettivi che fanno musica in Appennino, in una serie di substrati che si incontrano insieme a artisti di rilievo come Otay:onii, un’artista cinese che risiede a Berlino, la cui pratica artistica abbraccia musica, performance, installazione e la composizione per film».
Il programma unisce linguaggi e sensibilità diverse: performance sperimentali, concerti, laboratori, mercati, open call anche per autoproduzioni. Come parlare e vivere la trasversalità «senza ridurre a sintesi» l’esperienza?
«La nostra riflessione, rispetto al medium artistico è quella comunitaria, del condividere riflessioni e pratiche che possono partire da un input indivuduale, ampliato a una dimensione collettiva. Non c’è una persona che parla e uno spettattore, ma il dialogo tra chi porta riflessioni filosofiche, artistiche e le persone che vogliono partecipare: così si attiva la dimensione comunitaria. Il laboratorio permette la somma di questi livelli e attiva l’orizzontalità dei rapporti. La condivisione delle pratiche, la co-creazione, sono i dispositivi più adeguati quando si parla di trasversalità e pensiero ecologico: si pensa, con pratiche condivise, sia a laboratori condotti da artistə, da scholars di anche altri ambiti, più scientifici o filosofici, letteratura, superando le distinzioni, mettendo insieme.

A proposito di pluralità…
«La pluralità è una necessità che deriva dalla domanda di base: “che risposte dare al collasso? Al pianeta infetto?”. Non c’è una sola risposta, ma varie, che passano da diversi canali: quello dell’autoproduzione è un approccio anticapitalista, l’autoproduzione viene dal basso, da un contesto diverso dalle dinamiche capitaliste… il pranzo comunitario tratta anche di questo. C’è una dimensione e un approccio che cerca di essere multifaceted anche per le discipline, perché non c’è una risposta singola e vogliamo dare spazio a tutte. La pluralità di linguaggi, oltre che il discorso di suggestioni, è necessità. Quest’anno 2 filosofe, Ilaria Santoemma e Camilla Bernava, faranno una tavola rotonda che permetterà di esplorare l’input filosofico di riferimento in maniera aperta e accessibile. Vogliamo dare uno spacccato di che tipo di interventi ci possono essere nell’ambito di Arts and Ecology, dare un’overview delle possibilità».
Realtà come Boschilla e altre comunità locali amplificano la dimensione ecologica del festival. Che valore ha per voi questa rete e cosa aggiunge al festival?
«Nell’ambito di Terrapolis quinta edizione, le cose non cambiano. Boschilla è molto attiva in Appennino e conosce la comunità di riferimento: a loro abbiamo chiesto cosa è meglio, che percorsi è meglio fare. C’è sempre stata la collaborazione con chi è presente nell’area in cui si interviene, ma quest’anno lavoriamo in un luogo molto specifico. Andare in un posto e proporre qualcosa porta con sé le domende del perché? Con chi? A chi ci rivolgiamo? Perché lo facciamo?».

Perché fuori città quindi?
«Quest’anno è a Castiglione dei Pepoli: decentralizzazione culturale e fuga sono le colonne portanti di questa scelta. A Bologna, ultimamente, il contesto culturale sta cambiando molto e le decisioni della città stanno andando verso una direzione che non ci rappresenta più. Per questo motivo, sentiamo la necessità di spostarci dove ci si può prendere cura delle persone e dell’arte, ossia fuori. Il territorio appenninico è denso di collettivi – già attivi sia in ambito culturale che strettamente ecologico – e quando ti decentralizzi trovi realtà molto attive, diventa più sensato uscire che stare in contesti cittadini, gentrificanti. Intendiamoci, tutto l’anno stiamo nel contesto cittadino, c’è tanto lavoro sul quartiere a Bologna, ma con questa scelta, ora, esploriamo altre possibilità. Nel contesto cittadino, sempre più spesso, il tema ecologico è al servizio di logiche specultaitve – non nel senso di Donna Haraway – estremamente estrattive e gentrificanti».
Quali dettagli pratici ci dobbiamo appuntare per non perderci nel rizoma?
«Si può venire ed esplorare: il festival si sviluppa in montagna, sul lago e nel centro storico. La maggior parte delle attività sono gratuite: per alcune attività in cui è richiesta prenotazione ci sono info sul sito e su Instagram. Puoi venire, mettere la tenda, stare, campeggiare, goderti il luogo. Castiglione dei Pepoli è decentrato ma raggiungibile in treno e auto, a metà strada tra Bologna e Prato. Se ci sono problemi di qualsiasi genere abbiamo un link a un gruppo Whatsapp di condivisione passaggi. Inoltre, abbiamo contattato delle persone con expertise circa l’accessibilità: stanno valutando una serie di parametri, per poter fornire informazioni al riguardo al più presto».
Per il resto, perdiamoci.














