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Nelle opere di Muna Mussie in mostra alla Fondazione Menegaz l’arte tesse il filo della libertà
Progetti e iniziative
Amiternum è un importante sito archeologico collocato vicino a L’Aquila, in Abruzzo. Un tempo fiorente città romana, centro amministrativo e commerciale, è inserito in un affascinante contesto naturale dove convivono storia, memoria, cultura e paesaggio. Oggi, tra i monumenti più rilevanti visitabili, vi sono i resti di un Teatro e di un Anfiteatro del I secolo d.C., l’uno simbolo di cultura imperiale, l’altro di intrattenimento popolare e sociale. L’Anfiteatro era inoltre vicino a un Tempio che fonti e iscrizioni hanno dimostrato essere dedicato al culto di Feronia, divinità italica antica associata a luoghi naturali e sacri, alla fertilità della terra, ai boschi, alle fiere, alla libertà, intesa come liberazione dalla schiavitù.
È a partire da quelle iscrizioni che nasce l’opera dell’artista eritrea Muna Mussie, Domus Feroniae, a cura di Serena Schioppa e Giulia Floris, metafora della dimora della dea, trasposta nelle sale degli spazi della Fondazione Menegaz. Una sorta di ricamo decorativo centrato sull’identità della figura femminile e realizzato grazie alle residenze dell’artista in Abruzzo nel Parco Nazionale del Gran Sasso e dei Monti della Laga e alla collaborazione con l’Azienda tessile Arcolaio fondata in provincia di Teramo nel 1953 e promotrice dal 2023 del Premio Arcolaio Art Prize. La visual artist e performer ha potuto così non soltanto conoscere in maniera approfondita il territorio ma anche consegnare a esso una narrazione che recupera la memoria storica e la oltrepassa per giungere a tematiche attuali, internazionali e relazionali.

L’opera è costituita da 12 pannelli Jacquard, tecnica che permette di creare direttamente nel tessuto motivi intricati e dettagliati con un accurato controllo dei fili della trama. I pannelli esposti in un percorso inizialmente ordinato restituiscono ognuno una parte della mappa di Amiternum, reinterpretata e curata in ogni dettaglio. Visibili su entrambi i lati e in dialogo tra loro, i tessuti, grazie all’utilizzo del bianco e del nero, sono espressione del positivo e del negativo, del contrasto tra luce e buio, del conflitto tra opposti. Sono simbolo di una frattura o strappo, parte tra l’altro integrante dell’atto performativo che ha inaugurato la mostra, nel segno della parola, della ritualità e del gesto, alla ricerca dell’ignoto e della memoria, tutti temi fondanti della cifra artistica di Mussie.

I pannelli vengono realizzati con ordito a due fili in cotone e lino e contengono elementi di rottura del tessuto, stramature che grazie a tecniche e a fasi di lavorazione specializzate hanno consentito di trattenere nastri catarifrangenti che creano giochi di luce complessi, come elemento di contemporaneità ed emergenza. Pensiamo alle emergenze odierne locali, nazionali e globali, continuamente sotto i riflettori: crisi, conflitti, disastri climatici e ambientali, zone colpite dalle guerre, emergenze sanitarie, migrazioni, violazione dei diritti umani. I nastri indicano un passaggio fra il bianco e il nero, un margine, un confine da valicare.
Non solo. Sullo sfondo sono presenti passi in latino tratti dal Liber Paradisus, documento storico della metà del Duecento legato alla liberazione di schiavi a Bologna, primo atto di liberazione dei servi della gleba. Trattasi di un registro ufficiale che documentava le terre che venivano liberate dagli schiavi e assegnate ai loro nuovi proprietari liberi, quindi un atto di liberazione collettiva sancito dalle autorità, divenuto poi legislativo. Nella sala che chiude il percorso viene meno la struttura, fino a quel momento lineare, i negativi si intervallano, la soglia non esiste più. Una volta avvenuta la frammentazione il rimosso è riportato completamente in superficie e può avvenire la liberazione da ogni vincolo o prigione.

Oltre ai temi sopra citati l’opera indaga il tragitto verso la liberazione attraverso il valore delle tradizioni locali e dell’artigianato nelle donne schiave portate in Abruzzo, ad esempio donne turche e cipriote, divenute fondamento del settore tessile locale che in antichità attraverso la tessitura hanno ottenuto l’emancipazione e l’autonomia come simbolo di resistenza. Tale simbolo corrisponde a quello dell’Azienda Arcolaio da sempre attenta al legame con la propria terra, alla sperimentazione e alla sostenibilità dei materiali, ultima grande produttrice di tessitura Jacquard sul territorio.














