11 ottobre 2025

A Roma c’è una mostra nell’edificio di una discoteca abbandonata. Diventerà la nuova sede della Bibliotheca Hertziana

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Chi esce entra: le opere di 20 artiste e artisti per la mostra-omaggio della Bibliotheca Hertziana nell'edificio segreto di Via Gregoriana 9 a Roma: scultura, pittura, video e performance, in dialogo con uno spazio in metamorfosi

A Roma, a pochi passi dalla Biblioteca Hertziana, c’è una mostra temporanea che celebra la memoria di un luogo che stava per essere dimenticato. Chi esce entra A Tribute Exhibition to a Disappearing Building è un’iniziativa del dipartimento della Bibliotheca Hertziana Rome Contemporary guidato da Tristan Weddigen. Aperta fino al 9 novembre, la mostra a cura di Simon Würsten Marin mette insieme le opere di oltre 20 artiste e artisti. Tra scultura, installazione, pittura, fotografia, video e performance i lavori esposti dialogano con uno spazio che, nel suo secolo di vita, ha avuto varie metamorfosi. Una rovina contemporanea che si accinge a cambiar pelle di nuovo: con il contributo della Fondazione Max Planck, l’edificio di via Gregoriana 9 diventerà un nuovo spazio della Biblioteca Hertziana, dedicato alle collezioni di libri rari e fotografie.

Via Gregoriana 9, prima della Biblioteca Hertziana

Tra decadenza e dimenticanza, l’ultima metamorfosi di via Gregoriana 9 ha condotto l’edificio in uno stato di abbandono durato 30 anni. È proprio in questa fase di transizione, con i lavori di ristrutturazione in corso per la sua nuova destinazione, che si innesta la mostra Chi esce entra. A Tribute Exhibition to a Disappearing Building.

Un corridoio all’entrata di via Gregoriana 9 conduce a una scalinata che si apre su un enorme salone, illuminato da un lucernario in vetro che accende il buio dei ricordi dell’ultimo secolo. Dalla ricerca di Margherita Fratarcangeli, sappiamo che il nome di Ludovico Spiridon è legato alla prima vita dello spazio: fu la sede di una galleria d’arte dal 1911 e per circa vent’anni, attraversando gli anni della Prima Guerra Mondiale. Riclassificato come sala da ballo nel 1939, l’ambiente si trasformò poi nella celebre discoteca La Cage aux folles, rimasta in disuso dagli anni Novanta. Acquisito nel 2018 da uno sponsor privato, l’edificio è giunto infine alla Fondazione Max Planck, che lo sta rinnovando per farne il nuovo polo della Bibliotheca Hertziana.

Chi esce entra: il paradosso incarnato

Mutuato dall’opera in mostra di Vincenzo Agnetti Chi esce entra (1971), il titolo evocativo dell’esposizione si aggancia concretamente allo stadio del luogo: uscendo dal suo passato verso una nuova forma. Nel celebrare un edificio che sta scomparendo, la Bibliotheca Hertziana onora un passato che sta per lasciare il posto a una nuova storia. Qui, il curatore Simon Würsten Marin ha lavorato sui concetti del decadimento e della vulnerabilità, dell’identità e della memoria, disegnando una traccia tra le storie, gli oggetti e le persone che hanno abitato lo spazio e l’opera contemporanea di artisti in transito. Capsula temporale che contiene memorie e cantiere aperto, lo spazio si trasforma ancora, per un breve periodo, in uno spazio espositivo.

In Chi esce entra. A Tribute Exhibition to a Disappearing Building, accanto all’opera iconica di Vincenzo Agnetti e di Louise Bourgeois, intervengono nello spazio giovani artisti che si relazionano con l’architettura in un dialogo fisico, intimo, viscerale con le sue molteplici esistenze. Questa riflessione si articola intorno ai temi di identità, memoria e cura, con gli artisti che utilizzano lo spazio come cassa di risonanza.

Nel cuore del salone un tempo adibito ai balli, l’opera organica di Eva Fàbregas, Exudates (2024 – in corso), si impone come ferita dell’architettura stessa. Exudates rimanda ai fluidi rilasciati dai corpi feriti: l’edificio si trasforma così in un organismo pulsante e vulnerabile, con l’intervento scultoreo che ne fa corpo vivo. Nelle nicchie che si addossano al salone, il dialogo si fa invece più raccolto e personale.

Tarik Kiswanson con l’opera Passing (2019) ricorda e celebra l’identità della sua famiglia palestinese emigrata, utilizzando una radiografia che sovrappone l’immagine di un vestito tipico della madre a una sua felpa, un atto di memoria intima proiettato sulla vulnerabilità dello spazio.

Anche la pratica di Tarik Hayward riflette sulla fragilità della struttura: le sue colonne in cemento e neon, che richiamano sculture classiche, vengono spogliate della loro funzione convenzionale. Non più elementi portanti ma fragili oggetti in metamorfosi, diventano un’eco materiale della transizione in atto nell’edificio.

Un’indagine sulla cura come forma di resistenza al decadimento è quella condotta da Hana Miletić con Materials (2023). Attraverso un tessuto giallo e nero che richiama i nastri dei lavori in corso negli spazi pubblici, l’artista riflette sulla riparazione e la comunità incarnate dal lavoro femminile della tessitura. Sulla scia del degrado, Lulù Nuti cattura il senso di un’erosione ineluttabile nella sua opera I Fruitori (2025). Concentrata sull’influenza degli ambienti naturali e sociali sulla cultura, l’artista ha realizzato sculture ispirate a elementi architettonici classici, realizzando stampi da forme di pane raffermo lasciate consumare dalla fauna e dalle intemperie dell’Isola Tiberina. L’opera finale in fibra di vetro preserva l’esito di questo processo: simula il lento ma inevitabile degrado che cancella le tracce del nostro passato.

A rievocare le passioni e la vita notturna, in particolare quella queer de La Cage aux folles, è l’intervento di Prem Sahib. Con la scultura Brotherhood (2017) Sahib usa anelli astratti che alludono al matrimonio e a giochi sessuali. L’artista ha però adattato il suo lavoro Man Dog agli spazi di via Gregoriana 9, trasformando il corridoio d’ingresso in un passaggio transitorio tra la strada vivace e l’interno fatiscente, dove luce rossa e suoni gutturali creano un’atmosfera di desiderio e potenziale violenza. L’edificio stesso si fa così “camera d’eco del desiderio queer”.

La mostra è arricchita da un programma pubblico di eventi, parte integrante del progetto, che include performance dal vivo, visite guidate e una tavola rotonda, offrendo occasioni di dialogo con le comunità artistiche e accademiche. Al termine dell’esposizione, a creare una traccia permanente di via Gregoriana 9, sarà pubblicato un volume (Dario Cimorelli Editore) con saggi e un’ampia documentazione sull’edificio e sulla mostra.

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