-
- container colonna1
- Categorie
- #iorestoacasa
- Agenda
- Archeologia
- Architettura
- Arte antica
- Arte contemporanea
- Arte moderna
- Arti performative
- Attualità
- Bandi e concorsi
- Beni culturali
- Cinema
- Contest
- Danza
- Design
- Diritto
- Eventi
- Fiere e manifestazioni
- Film e serie tv
- Formazione
- Fotografia
- Libri ed editoria
- Mercato
- MIC Ministero della Cultura
- Moda
- Musei
- Musica
- Opening
- Personaggi
- Politica e opinioni
- Street Art
- Teatro
- Viaggi
- Categorie
- container colonna2
- Servizi
- Sezioni
- container colonna1
Ricerche artistiche in dialogo, in un ex spazio commerciale di Campobasso
Progetti e iniziative
di Monica Bucci
Nell’ambito del ciclo espositivo Sublime, Vuoto Fertile si offre come un percorso quieto e vibrante, un’architettura di vuoti e pieni in cui l’assenza non è mancanza, ma potenziale latente. La mostra, visitabile a Campobasso fino all’11 gennaio e curata da Federico Timo, propone l’esplorazione del vuoto come terreno creativo, dispositivo poetico, varco a nuove possibilità: una prospettiva che plasma assenza e privazione in aperture di senso. La diversità delle quattro ricerche artistiche in esposizione – di Niko Albanese, Mino Pasqualone, Jacopo Piano e dello stesso Timo – confluisce, infatti, in un’unica poetica, che invita ad accogliere il cedimento per goderne, nella continua ricerca di armonia. Le superfici materiche, le fotografie e i materiali di recupero dialogano nello spazio, creando risonanze visive e concettuali che guidano, chi vi entra in contatto, in una pratica di osservazione profonda e mutabile.

A fare da cornice a questo dialogo è un luogo situato nel cuore della città, in Corso Vittorio Emanuele II. Un tempo destinato a funzione commerciale, lo spazio ha attraversato una fase di chiusura, che ne ha temporaneamente arrestato la funzione nel tessuto urbano, prima di essere riattivato dallo stesso Timo come spazio per l’arte, in virtù della sua posizione centrale e della sua naturale predisposizione all’accoglienza espositiva.
La disposizione delle opere, calibrata con attenzione, trasforma l’attraversamento in un’esperienza ritmica, ben scandita, fatta di pause, accelerazioni e silenzi evocativi. Lo spettatore è invitato a sostare per abbandonarsi completamente alla porosità e alla composizione dei materiali, alla sospensione e alla risonanza visiva delle fotografie, all’essenzialità e alla sacralità degli oggetti ricontestualizzati. L’obiettivo è farsi parte di uno scenario di trasformazione e rinascita, per esperirne in totale libertà. La metamorfosi della ruggine, dell’uomo, delle ombre, dei sistemi di riferimento, svela nuove presenze, e possibilità rinnovate di esse, e ne dispone eventuali nuove forme. Così, la tensione diviene viva e produttiva di immaginazioni e interpretazioni, fino ad allora nascoste da regole interiori. Ogni sospensione è un’opportunità di lettura, ogni impatto visivo stimola possibilità empatiche e narrative.

Timo, Albanese, Pasqualone e Piano, attraverso un dialogo coerente di materiali e linguaggi, conducono lo spettatore verso nuove visioni, scardinando preconcetti e immagini chiuse. Come ricorda Timo, «Ogni opera è un invito a mettere in discussione quello che crediamo immutabile, per sentire la propria essenza senza peso né forma», e le loro opere mostrano e dimostrano come l’osservazione partecipata è il primo atto creativo, capace di lasciare nuove tracce, diverse memorie. In questa dimensione, le immagini di Albanese si immergono nel tempo, raccontandosi attraverso strati di ombre, e le proposte di Piano assumono caratteri monumentali, quasi a rappresentare reliquie di una civiltà in decadenza, configurando un processo di riduzione radicale. E, come ricorda Pasqualone, nella sua opera Collateral Beauty, «Qui non si parla di fine. Si parla di un amore che ha saputo attraversare la soglia e restare presente. Perché la morte non è il contrario della vita, ma è solo un altro modo di esserci».
Nasce così l’urgenza di decomporre e lasciarsi scomporre, per trovare vita in nuove e inesplorate forme. In questo spazio, nel vuoto, ogni cosa può emergere, concretizzarsi e risignificarsi, come vuole l’arte stessa.

Vuoto Fertile si inserisce all’interno di Sublime, un progetto espositivo di arte contemporanea ideato e promosso da Federico Timo, artista e curatore, nato con l’intento di affermare il Molise come territorio attivo e generativo per la ricerca artistica contemporanea. L’iniziativa si articola in un grande evento tematico capace di accogliere linguaggi differenti e di attivare un dialogo continuo tra opere, spazio e pubblico, con l’obiettivo di costruire valore culturale e umano, coinvolgendo in particolare le nuove generazioni del territorio.
L’edizione 2025, pensata come un ciclo della durata di tre mesi, prosegue il percorso avviato lo scorso anno, che ha dato origine a una prima esperienza collettiva capace di generare un movimento artistico e relazionale significativo, e si articola in quattro mostre principali, quali Bornout, Abitare il giardino. Geografie di una città possibile, Vuoto Fertile e Balance, concepite come capitoli autonomi e, al contempo, come parti di un racconto unitario. L’apertura del ciclo è stata affidata a Bornout, di Gianluca D’Ottavio e Daniele Paradiso, che ha trasformato lo spazio in un ambiente multisensoriale, attraversato da un intenso dialogo tra immagini digitali, grafiche astratte e paesaggi sonori immersivi.
A seguire, Abitare il giardino. Geografie di una città possibile, di Alicya e Maria Elena Ricciuto, con la curatela di Tommaso Evangelista, si è configurata come un percorso immersivo dedicato all’esplorazione dell’abitare come dimensione fisica e mentale, attraverso installazioni visive e performative capaci di riconfigurare lo spazio in un giardino immaginario.

Dopo Vuoto Fertile, il ciclo si concluderà con Balance, di Diego Parente e Paolo Emilio Greco, in programma dal 15 al 31 gennaio, che trasformerà lo spazio in un laboratorio poetico e sensoriale, in cui la stratificazione dei segni e la trasformazione della materia, tra illustrazioni, materiali di recupero e installazioni, divengono strumenti di contemplazione e tensione percettiva.
In accompagnamento a tutto il ciclo espositivo, un programma di eventi collaterali, tra workshop, performance, incontri e interventi interdisciplinari, volti ad estendere l’esperienza oltre l’allestimento, trasformando lo spazio in un luogo di attraversamento, confronto e partecipazione attiva.
Sublime non si configura, dunque, soltanto come una sequenza di mostre ma come un dispositivo culturale aperto, capace di mettere in relazione pratiche artistiche, comunità e territorio, restituendo all’arte il suo ruolo di campo di possibilità, ascolto e trasformazione condivisa.












