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Vico Magistretti, uno dei grandi maestri del design italiano, è morto questa mattina a Milano all’età di 85 anni. Nato nel capoluogo lombardo nel 1920, nel 1945 -dopo la laurea in architettura- inizia a lavorare nello studio del padre, anch’egli architetto. Nonostante la sua principale attività sia svolgesse al tempo in campo urbanistico e architettonico, presto si afferma come designer di grande lungimiranza, specialmente nell’industrial design e nei settori dell’illuminazione, dell’arredo d’interni e dei mobili.
Dal 1948 partecipa a varie edizioni della Triennale di Milano, e nel 1956 è tra i fondatori dell’ADI, l’Associazione per il Disegno Industriale. Innumerevoli i premi alla carriera e riconoscimenti ricevuti fin dagli anni ’50: dalla Medaglia d’Oro alla IX Triennale di Milano nel 1951 al Compasso d’Oro nel 1967 per la lampada Eclisse -una delle sue creazioni più note, per Artemide-, al Compasso d’Oro per la carriera nel 1985. Non gli sono mancati riconoscimenti anche all’estero: dal Wiener Möbelsalons International, dal Möbelsalons di Colonia e dalla S.I.A.D. (Society of Industrial Artists and Designers) di Londra. Oltre che con Artemide, Magistretti ha collaborato con aziende come Cassina, Hansen, Acerbis, Flou, Fontana Arte, Kartell. Già da un paio di anni era gravemente malato, e le sue condizioni gli rendevano difficile lavorare.
[exibart]












un grande..
la lampada eclisse è un concentrato di estetica e concetto di quello che era luce negli anni ’60.
addio.
LA LAMPADA ATOLLO PER ME,COMPAGNA DI 2O ANNI DI VITA COME UN ESPOLOSIONE DI BUON GUSTO E DI LUCE,MI HA ACCOMPAGNATA IN AMERICA,CIAO VICO. CHI E’ GRANDE LO RESTA,
Magistretti, ma anche Castiglioni, Munari, Zanuso, Castelli Ferrieri, insomma il cosiddetto Gotha del design italiano, si arricchisce sempre più di glorie nel firmamento.
Un periodo il loro di grande entusiasmo, di voglia di fare con la semplicità e con l’umiltà, senza eccessivi clamori.
Ma è anche vero che con questi personaggi, scompare (grazie al cielo) anche un’epoca immediatamente successvia alla loro formazione professionale, profondamente caratterizzata dall’informazione di un certo protagonismo a braccetto con le grandi firme della catena di produzione industriale.
Nulla di personale nei riguardi di questi maestri con la maiuscola, nel contempo però (anni 80-90 e a proseguire) le imprese si sono prodigate nel non aprire più le porte alle nuove generazioni a meno che si trattasse dell’amico dell’imprenditore o del “raccomandato”.
Inoltre, le idee innovative di questi maestri erano di una tale semplicità e minimalismo nell’uso dei materiali e delle forme geometriche, che anche un universitario riusciva ad approdare a progetti compositivi di pari risultato nell’anno di esercitazione di un qualsiasi esame di corso compositivo.
Solo che le imprese non potevano rischiare (perché poi?) e i grandi nomi del design avevano praticamente preso domicilio di pensione presso di loro.
Un oggetto di quattro linee fatto con un materiale neanche ricercato o laboriosamente lavorato, tra la parcella e la pubblicità arrivava ad avere un rincaro spropositato, decretando nel frattempo la fine dell’artigianato.
Il senso del design adesso è nel buon nome dell’IKEA.
Non si sa più veramente che cosa sia oggi il design italiano e che cosa sia stato.
(Angelo Errico)
Caro angelo,
mi sembra che la tua visione sul design italiano contemporaneoi sia un tantino apocalittica.
ma comunque i migliori come vico gli abbiamo sempre noi.
mi dispiace!
caro Dinamo (è il cognome?),
ho frequentato all’università del Politecnico di Milano quando i miei anni erano più verdi (ne ho 41 mentre scrivo) il corso di disegno industriale di Castiglioni. Un grande! Contraddire questa affermazione sarebbe da parte mia ipocrisia o amore per la polemica. Peccato però che in un anno di corso l’avrò visto tre volte.
Il suo più arrogante presuntuoso viscido, collaboratore e assistente, presenziava nelle restanti lezioni e lo ritrovai che occupava la cattedra di disegno industriale anni dopo quando mi sono laureato.
Dall’uno ho appreso una filosofia di progettazione che mi sembra in netto contrasto con l’andamento del design odierno, volto come diceva il maestro Castiglioni, a stupire e basta, per funzionare quando accidentalmente capita; dall’altro sono invece stato usato (come tutti gli altri studenti frequentanti) per il migliori sfruttamento economico con l’obbligo di acquisto di dispense e suoi (modesti e inutili) libri, creati ad hoc per il corso.
Apocalittica la mia visione sul design? T sbagli. Fatti servire.
Non vedo affatto nel design, italiano e non, un crollo generale.
La mia dipartita era improntata (ma non si capiva affatto?) sulla questione nodale del dialogo tra le menti creative e i produttori industriali, e quanto il legame tra i grandi maestri italiani e le imprese, fosse una collaborazione iniziale di genuina ricerca della novità formale, figlia e moglie della funzionalità, ma che nell’epoca della Milano da bere (anni 80) caratterizzata dal nascente design della comunicazione, l’oggetto diventava uno status ancorché l’oggetto pensato e distribuito alla massa (sennò, perché l’industria doveva scalzare l’artigianato?).
Castiglioni stesso ammise in una lezione parlando della mitica lampada prodotta credo ancora oggi da Flos, con il suo bell’arco piegato a mò di canna da pesca, che osservò stupito come a distanza di anni, quell’oggetto in cui lo sforzo massimo progettuale era stato l’usare delle sezioni minime essenziali nelle componenti dell’oggetto, nessun alcun fronzolo e con un’estrema semplicità delle forme, era venduto a prezzi al quanto cari (terminata peraltro la royality).
Quindi la mia non è una critica sul design, ma sui molti altri valori aggiunti che col design, diciamocelo senza ipocrisie: non centrano una pippa!!!
Poi possiamo far passare il brutto per il bello e il bello per il brutto, ma questo sta nelle storie dei popoli con le loro stagioni secolari.
Non mi si dica che tutto quello che crea Thun o Sottsass (per dirne due a caso) sia innovativo e invidiabile quando lo si vede sulle patinate riviste o esposto negli showroom!