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Si trovanell’unico edificio “salvato” dalla furia di Zaha Hadid, che per realizzare il
suo sinuoso serpente di cemento vivo ha demolito l’intera caserma Montello.
Tutto tranne che un edificio longitudinale che è stato integrato nel progetto e
che infatti oggi ospita il bookshop, il ristorante Maxxi.eat e Maxxi Base.
Maxxi Base, appunto, dove “base” sta per Biblioteca, Archivio, Studi, Editoria.
Si tratta del centro di ricerca e documentazione del Maxxi che ora si apre al
pubblico con due obbiettivi principali: documentare tutta l’attività del museo
e promuovere dibattito a trecentosessanta gradi. Base sarà anche il braccio
armato del museo verso le realtà internazionali, sarà uno strumento per
intensificare i rapporti e gli interscambi.
I contenuti di Maxxi Base? Una biblioteca di arte e architettura da 10mila
volumi; 40 postazioni multimediali; uno spazio polifunzionale da 100 posti;
un’area dedicata all’archivio del museo dove vengono conservati i suoi fondi e
materiali su vario supporto. Il tutto per oltre 750 mq. Come tutto il mondo
Maxxi, anche Base ha due teste: arte – con la direzione di Carolina Italiano –
e architettura, capeggiata da Alessio Rosati. Il centro non mancherà comunque
di essere anche uno spazio di produzione: sarà qui infatti che verranno “cucinati”
i cataloghi del museo e, sempre qui, si organizzeranno mostre, incontri,
presentazioni. A cominciare dagli eventi inaugurali, le mostre Il confine
evanescente, L’architettura che ti piace – curata da Gizmo – e Nature #1 – Francesco Venezia, e la
presentazione del volume Il confine evanescente. Arte italiana 1960-2010, a cura di Anna
Mattirolo e Gabriele Guercio, sull’ultimo mezzo secolo d’arte italiana.
volumi; 40 postazioni multimediali; uno spazio polifunzionale da 100 posti;
un’area dedicata all’archivio del museo dove vengono conservati i suoi fondi e
materiali su vario supporto. Il tutto per oltre 750 mq. Come tutto il mondo
Maxxi, anche Base ha due teste: arte – con la direzione di Carolina Italiano –
e architettura, capeggiata da Alessio Rosati. Il centro non mancherà comunque
di essere anche uno spazio di produzione: sarà qui infatti che verranno “cucinati”
i cataloghi del museo e, sempre qui, si organizzeranno mostre, incontri,
presentazioni. A cominciare dagli eventi inaugurali, le mostre Il confine
evanescente, L’architettura che ti piace – curata da Gizmo – e Nature #1 – Francesco Venezia, e la
presentazione del volume Il confine evanescente. Arte italiana 1960-2010, a cura di Anna
Mattirolo e Gabriele Guercio, sull’ultimo mezzo secolo d’arte italiana.
Giovedì 24
febbraio 2011 – ore 18.30
Via Guido Reni 4a
– Roma
www.fondazionemaxxi.it
[exibart]












I Musei italiani, tra cui il Maxxi di Zaha Hadid, se pur interessante da un punto di vista spaziale, volumetrico, rischia di ridursi a forma simbolica di un’architettura-feticcio, valida per tutti i contesti geografici, antropologici e ambientali. Ottimo per tutti i tipi di clima e per tutte le stagioni della vita. Una costruzione energivora, a forte impatto visivo, in cui la cultura estetica, trova la propria idonea prigione a regola d’arte: (un moderno sistema di controllo dell’ arte e della cultura). Un museo autorefernziale, come tanti altri in Italia, gestiti da particolari figure, unte dal sovrano di turno; i quali possono servire il potere, o sparire presto dalla scena dell’arte. (vedasi museo Madre.) Musei, che hanno il compito di imporre al pubblico passivo, una cultura da “classi superiori”, in cui il popolo passivo, si deve sottomettere. Gestiti con i finanziamenti pubblici, per poi vederli, nel giro di pochi anni, affondare in un mare di debiti. Eppure, la maggioranza del pubblico che paga le tasse, non s’identifica assolutamente con questo tipo di cultura calata dall’alto. Allora, perchè costringerlo a pagare ancora il bigletto? Un pubblico che non vuole essere umiliato da artisti narcisi e da demagoghi del nulla. Questi musei, sparsi sulla penisola, riflettono una crisi molto profonda di un modello di cultura, ormai degenerato, arbitrario, ad uso e vantaggio di pochi addetti ai lavori. Il pubblico passivo, per coinvolgerlo, viene bombardato da spot pubblicitari per non vedere assolutamente niente, se non premi e sfilate di artisti d’élite, di moda, pompati da collezzionisti, vezzeggiati da critici salottieri, come vere star del Cinema. Ciò, non tanto per il contenuto effettivo dell’opera d’arte,(ammesso che ce l’abbia) quanto per il successo o consenso critico che l’artista è riuscito ad ottenere all’interno del sistema consumistico, famelico e perverso dell’arte contemporanea. Dove, l’aspetto economico, comununque sia, prevale sempre su ogni altra questione che non sia di linguaggio o di istanze etiche nel processo creativo. Nell’antica Grecia l’arte e la cultura era il perno su cui girava la ruota della democrazia partecipativa. Un diritto all’arte che non era esclusivo di pochi, ma di tutta la cittadinanza. Una condivisione collettiva di pensiero. Una fucina straordinaria di idee filosofiche, che sono valide ancora oggi, basata su una precisa scala di valori autentici: (il vero, il bello, il giusto). Questi valori sono l’unica bussola efficare per orientarci oggi per costruire un nuovo linguaggio contemporaneo che sia produzione di senso, in una prassi creativa al servizio dell’intera comunità e non di pochi addetti ai lavori.