07 febbraio 2012

La scomparsa di Antoni Tàpies, l’artista ribelle

 

di

Antoni Tàpies, Ocre, marron et blanc aux quatre, 1972
Sarà una cerimonia d’addio strettamente privata per Anton Tàpies, scomparso a Barcellona a 88 anni. La sua Fondazione, invece, in segno di lutto non chiuderà. Anzi, terrà le porte aperte sia oggi sia domani. Un modo per tutto il pubblico di rendere un omaggio all’arte e alla cultura del grande catalano che ogni anno donava nuove opere alla Fondazione, aperta nel 1990, rendendola un museo in continua crescita nel cuore della sua città. Se ne va il grande informale, ma anche l’immenso scultore. Una carriera iniziata all’indomani della seconda guerra mondiale, quando nel 1948 è co-fondatore della rivista “Dau al set”. Da lì in poi una ricerca costante nella materia dell’arte, con un taglio informale che è stato avvicinato, più per comodità che non per vera affinità, alle creazioni di Burri e Dubuffet. E sono paste, legni, segni e materiali organici, sabbia e colore, terra e poi corde, lavagne, armadi, vestiti e fusioni in bronzo di oggetti comuni ripiegati su se stessi come i celebri materassi. Una creazione ansiosa a partire dalla materia del mondo che negli ultimi anni, come aveva dimostrato nella mostra al Marca di Catanzaro nel 2010, era diventata più minimale, quasi bianca. Alla Biennale di Venezia per la prima volta nel 1952 e un premio alla pittura nel 1993, Tàpies era una sorta di “dissidente”, non solo attraverso la sua arte ma nelle dichiarazioni, negli scritti agguerriti: «Non mi ricordo come l’ordine è stato imposto dopo la guerra civile. Però a chi vuole farci credere che l’apocalisse è in arrivo e il mondo cade a pezzi dovremmo dire che dobbiamo fare solo una cosa: combattere e adoperarci per migliorarlo», riportava, sulle pagine di “L’Avanguardia” di Barcellona. Una modalità di vivere in prima linea, un pessimo carattere e la coscienza che «l’arte è imprescindibile e inseparabile da una visione che contempli un mondo spirituale». (m.b.)

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