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Grandi numeri ma sono solo 4 gli artisti italiani nella Biennale di Enwezor: due scomparsi, Fabio Mauri (con la Macchina per fissare acquarelli (foto in home page) all’ingresso del Padiglione centrale dei Giardini e Pino Pascali (foto sopra), e due che vivono all’estero da tempo e che quindi tanto italiani ormai non sono più: Rosa Barba e Monica Bonvicini. Eppure saranno in tutto 159 i nuovi lavori prodotti per questa 56esima Biennale, e 89 gli artisti presentati per la prima volta.
«Non so se sia una biennale più politica di quelle degli anni precedenti, tutto riguarda le possibilità di riflessione che gli artisti ci offrono». Lo dice il direttore Enwezor, sottolineando di non voler fare opposizione tra Oriente e Occidente, ma della volontà di fare una Biennale che tenga conto dello spettro di diverse posizioni, di un momento di urgenza, riflessione.
La 56esima Biennale insomma avrà opere decisamente politiche, seppure Enwezor sottolinei la necessità di una “materialità dell’opera”: «Mi interessa una mostra dove la gente abbia una risposta emotiva alle opere, è qui che la coreografia della mostra è stata progetta: se c’è una politica ci sarà anche la capacità della forma di parlare a livelli multipli e complessivamente», spiega.
Poi lo schiaffo: «Non ci sono artisti italiani, in effetti. Ma l’Italia ospita una grande mostra nel suo padiglione per cui alla Biennale ce ne saranno moltissimi», dice Enwezor, quasi a lavarsene le mani o a pensare, metaforicamente, che i panni sporchi si lavano in famiglia. Poi l’affondo: «Non mi interessa molto la distinzione tra giovani e non giovani: mi interessa vedere quanto sia impavido un artista, come nel caso di Mauri». Un bel colpo, ma non nel senso che vorremmo.