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Vi abbiamo parlato lungamente della Biennale de la Habana, con la nostra intervista ai curatori Jorge Fernandez Torres e Giacomo Zaza, ma quel che è certo è la che la manifestazione – forse mai come quest’anno – è un po’ sulla bocca di tutti, non in ultimo i grandi media internazionali, dall’Huffington Post al New York Times, che gli ha dedicato grandi spazi sulle sue pagine.
Complice la caduta del “muro” tra Stati Uniti e Cuba, ci si prende forse il tempo per riflettere sulla “dissidenza”, su questa 12esima edizione (la kermesse è stata fondata nel 1984) che, si è scritto, “inietta una ventata di nuovo nelle fatiscenti ossa della Capitale cubana”.
Star indiscussa non poteva che essere Tania Bruguera, alla quale non è stato permesso di lasciare L’Avana per gli ultimi sei mesi, con l’accusa di turbare l’ordine pubblico, e che ha messo in scena una lettura dal vivo del libro di Hannah Arendt “Le origini del totalitarismo”, oggetto ancora una volta di intimidazioni da parte della polizia.
E la Biennale non ha perso il suo spirito: lavorare con un budget minuto, come una sorta di anti-spettacolo, guardando l’arte come un esperimento sociale sciolto e sfuggente, e non un marchio da vendere (come invece sempre di più paiono essere Venezia e Documenta). I grandi nomi, in effetti, non sono poi molti: Daniel Buren, Anish Kapoor, Michelangelo Pistoletto, mentre sono tanti i nomi dei “bad boys”: Tino Sehgal, Chakaia Booker, David Hammons, forse ancora poco conosciuti al pubblico isolano, che d’ora in poi sarà sempre più sotto l’egemonia “libera” degli Stati Uniti. L’idea, insomma, e lo dice proprio la stampa americana – forse un po’ per contribuire ad aprire i ponti, forse perché ci si crede veramente – è che a Cuba si respiri un poco di libertà in più rispetto alle grandi kermesse mondiali. Quanto durerà e se sarà vera libertà, pur nei grandi problemi sociali ancora vivi da queste parti, non lo sappiamo, ma quel che è certo è che sembra che un vecchio equilibrio fin troppo taciuto sia stato almeno incrinato. E questa, ribadiamolo ancora una volta, è la grande funzione dell’arte.
Foto di copertina: Michelangelo Pistoletto; sopra: Lidzie Alvisa