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I grandi italiani, anzi i grandi vecchi italiani, continuano a brillare come stelle nel cielo di New York. Stavolta è il turno di Marisa Merz, 91 anni, unica donna dell’Arte Povera, omaggiata al Met Breuer, ex sede del Whitney musuem a Uptown.
La mostra, dal titolo accattivante “il cielo è un grande spazio”, organizzata dal Metropolitan insieme all’Hammer Museum di Los Angeles, raccoglie la vasta produzione dell’artista torinese dagli anni Sessata in avanti, con un’ottima scelta di opere, alcune delle quali non viste, o raramente viste, in Italia.
La sorpresa è soprattutto all’inizio dove ad accogliere il pubblico sono delle grandi installazioni pendenti in alluminio (Living sculptures) che Merz realizzò nella cucina della sua casa a Torino negli anni Sessanta.
Il percorso prosegue con lavori delicatissimi fatti in filo di rame, le testine che hanno reso celebre l’artista, ma poi arriva alle pitture degli ultimi anni (tra il 2014 e il 2016) che dirottano lo sguardo del critico e del pubblico su un immaginario che con fatica si fa risalire a Marisa Merz. È la parte più debole della mostra, la sola, da cui forse qualcuno vicino all’artista dovrebbe metterla in guardia, cosa che sarebbe consigliabile ad alcuni altri grandi vecchi. E che non rende giustizia di un lavoro che si espande su cinquant’anni, costellato di capolavori.
La stampa americana non ha accolto sempre bene la mostra, a cominciare da Roberta Smith sul New York Times. E il motivo pare essere nella presentazione di un percorso non del tutto omogeneo e all’altezza delle aspettative.