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L’esposizione dura esattamente 73 minuti e 38 secondi. Un’estensione temporale alla quale deve essere aggiunta la manciata di infinito dell’esperienza individuale. A questo punto, il calcolo della somma sembra piuttosto semplice, “76’38’’ + ∞”, e il risultato è la mostra di Jérôme Bel, a cura di Antonia Alampi, che aprirà il 28 aprile al Centro per l’Arte Contemporanea Luigi Pecci. Il Museo di Prato, che vuole indagare il carattere e le prospettive dell’atto performativo, inaugura la prima personale del coreografo francese imboccando la strada della sinestesia, della sovrapposizione tra le dimensioni e le percezioni.
«Come si fa a lasciarsi coinvolgere dalla potenza di questa disciplina in un luogo per definizione dedicato alle arti visive? E come si può mantenerne l’intensità per un periodo di tempo esteso quanto gli orari di apertura dell’istituzione? E come la danza interagisce con i rumori di fondo del museo, con la mobilità continua dei suoi visitatori, con la rigidità delle sue architetture? La domanda finale potrebbe essere: cosa “produce” il museo sulla danza? E, specularmente, la danza sul museo?», sono le questioni poste da Alampi.
A tali argomenti, che riguardano il linguaggio costitutivo dell’opera, la metodologia espositiva e i sistemi fruitivi, “76’38’’ + ∞” risponde con un percorso articolato intorno a cinque opere chiave, realizzate negli ultimi venti anni da Bel, coreografo di rilevanza internazionale e con esperienze al MoMA, alla Tate Modern, al Pompidou e a dOCUMENTA(13). Diaporama è uno slide-show che presenta l’archivio in fieri di Bel, mentre Shirtology propone una ricerca sul rapporto tra la cultura capitalistica e l’individuo, su quanto il brand influenzi il quotidiano. Al mondo della danza, visto da due lati opposti, sono dedicati due lavori: Vèronique Doisneau, che evidenzia l’alienazione causata dalla componente gerarchia e dalle condizioni di lavoro imposte nel contesto della danza classica, e Compagnia Compagnia, in cui un corpo di ballo composto da non professionisti di ogni età e provenienti dal tessuto sociale di Prato e della provincia di Firenze, demolisce gerarchie e convenzioni teatrali. Danzare come se nessuno stesse guardando è un’opera appositamente concepita per questa occasione: un ballo continuo per un/a solo/a ballerino/a, alimentato direttamente dal museo, dalla sua infrastruttura, dai suoi protocolli.
Così, la trama della mostra si svolge su una piattaforma temporale più che spaziale, seguendo cicli e ritmi, unendo componenti sceniche, gestuali e filmiche, con performance presentate ogni domenica e svolte ogni giorno durante l’intero orario di apertura del museo. Come assistendo a «un’opera senza fine realizzata per essere esperita dai pochi secondi all’eternità», dice Alampi.