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L’Alta Corte di Cape Town ha condannato Zwelethu Mthethwa a una pena di 18 anni di reclusione, per omicidio. I fatti risalgono all’aprile del 2013, quando l’artista sudafricano, che in Italia ha esposto anche in occasione della Biennale di Venezia del 2005, oltre a quelle di L’Avana e San Paolo, causò la morte di Nokuphila Kumalo, sex worker ventitreenne. Mthethwa si proclamò subito innocente, testimoniando, per via del suo nutrito pool di avvocati, tra i quali il famoso William Booth, di non ricordare nulla, a causa della quantità eccessiva di alcool, come dimostrato dal conto della carta di credito. Un fatto che, nel nostro codice penale, sarebbe considerato un’aggravante. Ad incastrarlo, però, i filmati a circuito chiuso del luogo dove si svolse l’omicidio, un parcheggio di Woodstock, un sobborgo di Cape Town, che mostrano la Porsche nera dell’artista proprio nell’ora del delitto. Nonostante i tentativi della difesa di smontare la validità delle prove, il giudice ha deciso di confermare la condanna prevista per casi del genere, considerando anche che la donna non oppose la minima resistenza. I comitati in difesa dei diritti delle donne e dei sex workers, come ANC Women’s League e SWEAT, che sono stati molto attivi nel lungo corso giudiziario, con mobilitazioni ed eventi pubblici, hanno accolto la sentenza come una vittoria. «La corte ha bisogno di inviare un chiaro messaggio alla comunità ea tutti gli aspiranti criminali, la violenza contro le donne non sarà tollerata», ha detto il Giudice Patricia Golia. Ed essere un artista socialmente impegnato e riconosciuto a livello internazionale non è servito a nulla.