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Aggiungere un commento a queste elezioni senza ribadire ovvietà già disponibili sulla stampa e senza improvvisare sciocchezze per essere originali richiederebbe molto studio, spazio e tempo. Allora vorrei limitarmi a commentare un mantra ripetuto dagli sconfitti e da alcuni analisti, che ritengo sintomatico del nostro clima politico-intellettuale.
Il mantra in questione viene ripetuto da molti ma, se lo si digita su Google, appaiono subito queste occorrenze: «Gli elettori hanno sempre ragione», dichiarano la vice ministro dello sviluppo economico Teresa Bellanova e il senatore PD Francesco Scalia, «Il popolo che sceglie ha sempre ragione», recita il presidente dell’Autorità Nazionale Anticorruzione, Raffaele Cantone, e così via, di dichiarazione in dichiarazione, tutti convinti di dimostrare il loro far play. Ma se si trattasse di dire soltanto che in democrazia si sta al gioco (più o meno pulito) definito dalle sue regole, e quindi si è tenuti a rispettare i risultati delle elezioni, sarebbe solo una doverosa banalità. Se le parole hanno un senso, però, il mantra in questione non dice questo: dice invece che “chi vince ha ragione” o che “ha ragione chi ha votato per i partiti che hanno vinto”. Il che è innanzitutto un non sequitur: un conto è vincere, un altro è avere ragione e tra le due cose non c’è alcuna implicazione logica.
Vorrei ricordare a questi soloni che il partito nazionalsocialista guidato da Hitler prese il potere grazie a elezioni democratiche tra il 1930 il 1933. Avevano ragione gli elettori tedeschi o il mantra andrebbe rivisto? Ripetere questo cliché dimostra non solo una logica dubbia ma rivela sintomaticamente la mentalità che – dopo gli strepiti, le promesse, i distinguo, le accuse, le calunnie della campagna elettorale – accomuna vincenti e perdenti: invece di assumersi il difficile compito di elaborare e proporre una linea politica convincente, si schiaccia la ragione sulla “pancia” degli elettori.
Hannah Arendt amava ripetere questa frase latina attribuita a Catone il vecchio: «Victrix causa deis placuit, sed victa Catoni», La causa che ha vinto è piaciuta agli dei, ma la causa sconfitta piace a Catone. Non intendo affatto fare un elogio degli sconfitti o delle anime belle ma ribadire che una cosa è ammettere i propri errori (e l’elenco sarebbe lungo) e rispettare le regole di queste nostre (malatissime) democrazie, tutt’altra cosa è equiparare la vittoria degli avversari alla legittimità delle loro pretese, come se la battaglia politica fosse solo un’inscenata da campagna elettorale e non mettesse in gioco, invece, le vite di milioni di persone, italiani e non, viventi o nascituri. (Stefano Velotti)