06 aprile 2011

Archive Fever

 
Il curatore dell’Archivio Sacs, Giovanni Iovane, parla della nuova sede milanese di questa raccolta che ha come base il Museo Riso di Palermo. Un discorso sulla sua idea di Archivio e sulla sempre più rigogliosa arte siciliana…

di

Archive fever: un’attenta riflessione sull’arte siciliana, a Milano. Da dove nasce l’idea di trasportare l’archivio S.A.C.S, con sede originaria a Palermo, nel capoluogo lombardo?

La mostra fa da contorno all’apertura dell’Archivio Sacs e, come enuncia anche il titolo,  si riferisce alla concezione stessa di archivio, con le relative problematiche o spunti di riflessione che esso pone. L’idea nasce, non solo come semplice selezione di opere di artisti inseriti al suo interno, ma anche come concreta volontà di tradurre i contenuti dell’archivio all’interno di un reale spazio espositivo.

Mi parli del luogo nel quale sorge questo spazio espositivo, nonché sede dell’Archivio Sacs…

Certo. Questo nasce all’interno dei cosiddetti Frigoriferi Milanesi, caratterizzati da numerosi edifici tra cui il Palazzo del Ghiaccio, e in grado di ospitare  numerosi studi d’artista, gallerie di design e  laboratori di restauro d’arte contemporanea; queste esperienze sono volte a definire un microcosmo rivolto alle arti visive. In più, l’Archivio/Ufficio Sacs collabora con la società Frigoriferi Milanesi, l’Associazione Culturale Fare e, grazie ad una convenzione con l’Accademia di Belle Arti di Brera, diventerà luogo formativo per giovani curatori.

Qual è il motivo per il quale il pubblico milanese dovrebbe essere interessato a conoscere aspetti e peculiarità della cultura artistica siciliana che, grazie a Lei, ha ora modo di affermarsi in un ambito diverso?

Francamente, non saprei risponderle ma trovo che sia strategicamente importante spostare questo archivio in diversi luoghi e, soprattutto, all’interno di spazi in grado di diventare delle vere e proprie “agenzie”, con aspetti ed esigenze diverse in base ai luoghi in cui trova sede.

Il Suo merito è stato quello di aver reso pubblico un archivio che, sino a quel momento, non era accessibile a chi fosse interessato a consultarlo. Pensa che questa iniziativa abbia rappresentato un diverso modo di interagire con l’arte contemporanea?

Si, l’Archivio Sacs nasce con la Fondazione di Palazzo Riso circa quattro anni fa ed è stato strutturato con una forte progettualità strategica. Allo stesso modo, l’archivio è stato concepito come  strumento utile per mostrare l’esperienza artistica degli artisti presenti sul territorio siciliano. All’inizio, questo avveniva attraverso un archivio tradizionale, quindi, con una documentazione cartacea e un proprio sito online. Oggi, l’idea di renderlo ancora più aperto, come lei giustamente accennava, corrisponde alla voglia di trasformare il concetto di archivio facendolo divenire una sorta di “macchina” o “dispositivo mobile”, capace di dialogare con il pubblico in maniera ancor più efficace.


Da critico d’arte, ha condotto le Sue ricerche verso un discorso che vede come oggetto l’idea di Archivio. Quali sono, secondo Lei, le funzioni che un archivio non dovrebbe mai tralasciare?

Queste ricerche nascono dal libro Oggetti smarriti, pubblicato qualche anno fa in collaborazione con Filipa Ramos, nel quale ricorre spesso l’idea di memoria e conservazione. Il tutto implica una riflessione circa il concetto di archivio stesso e di quali possano essere le sue funzioni all’interno di una struttura museale. E’ risaputo come il museo tenda a conservare, mostrare e documentare; l’archivio, invece, ha una funzione più ristretta quindi l’idea di trasformarlo in qualcosa di più aperto, secondo me, lo rende maggiormente interessante.

Presso questa nuova sede milanese, si proporrà un nuovo tipo di archivio, in un’unica parola: mobile. Ci parli meglio della nascita di questa nuova concezione di “raccolta”…

Questo nuovo tipo di archivio è nato grazie alla collaborazione con l’architetto Giuseppe Librizzi, al quale è stato chiesto di studiare un “archivio mobile”, ovvero una struttura architettonica capace di essere  insieme contenitore e libreria, fornito anche di pannelli espositivi. Denominato Kit, è in grado di diventare una vera e propria “macchina espositiva”, trasportabile in qualsiasi luogo, e perfetta per veicolare le opere, in senso di documentazione ma anche in senso di progetto installativo, simile ad una”macchina ambulante”.

In stretto rapporto con la storia sociale, la museologia ci ha insegnato a distinguere le diverse funzioni e finalità del museo stesso. Tenendo sempre in considerazione il suo carattere storicizzante, su quali umori si basa il moderno  rapporto tra museo/archivio?

Normalmente, nei musei, gli archivi servono sempre a testimoniare l’attività espositiva e solo raramente gli archivi si occupano di artisti viventi, quasi a voler configurare esclusivamente dei cataloghi ragionati. L’Archivio Sacs nasce con un’ idea diversa: si rivolge ad artisti giovani, quindi, non prevede l’attivazione di un catalogo ragionato ma, al contrario, costituisce una testimonianza completa della loro attività allo stato attuale. Questo fornisce anche un modo di promuovere gli artisti del proprio territorio, divenendo così sede di promozione attraverso meccanismi espositivi innovativi.

I Suoi importanti progetti curatoriali presso la sede palermitana di Palazzo Riso, hanno inizio circa un anno fa. Quali sono state le prime impressioni e idee che ha maturato, durante questo trascorso, circa lo “spirito” degli artisti siciliani e del loro modo di approcciarsi all’arte?

Sebbene il mio ruolo all’interno di Palazzo Riso sia quello di curatore ospite con una temporalità ben precisa, nel corso di alcuni anni trascorsi in Sicilia, ho maturato un’idea sulla realtà siciliana. Nonostante ciò, ho sempre posto la mia attenzione verso la resa visibile di questa, attraverso appurate strategie, evitando di creare inutili gerarchie o un discorso critico poco flessibile. Per quanto mi riguarda, trovo sia di fondamentale importanza il ruolo dell’archivio come strumento di divulgazione dell’arte siciliana.

L’archivio comprende circa settanta artisti nati in Sicilia o che, nel corso della loro vita, hanno

avuto anche un minimo rapporto con questa terra. In questa “selezione” si intravede  la tendenza ad individuare una realtà artistica ben circoscritta.  Si può dunque parlare, secondo Lei, di una reale “tendenza isolana” in grado di affermarsi anche al di fuori dei suoi confini geografici?

Il problema dell’arte e del territorio è molto diffuso nel linguaggio dell’arte, soprattutto in Italia. Qui, per tradizione, le opere d’arte sono sempre state legate al territorio e trovo che questa sia la ragione per la quale si parli spesso di poca visibilità dell’arte italiana all’estero. Il linguaggio dell’arte italiana è legato ad un paesaggio che lo accoglie, quindi, quando un’opera di un artista italiano si propone in altre città, essa viene giudicata negativamente, proprio perchè vista come opera di “maniera”. Nel caso del microcosmo del periodo siciliano, penso che il discorso sia differente; noto infatti come vi siano dei linguaggi differenti, non legati all’idea di territorialità, e in grado di essere liberi da ogni costrizione stilistica. Mi preme comunque puntualizzare che non trovo grandi differenze e, soprattutto tra i giovani, intuisco un forte desiderio di fuggire da una condizione forzata di appartenenza ad un luogo ben preciso, anzi, credo siano stati in grado di elaborare linguaggi dal carattere internazionale.

Qualora fosse possibile, riuscirebbe a tracciare differenze o analogie tra gli artisti inseriti in archivio e artisti appartenenti ad altre realtà artistiche? A tal proposito mi vengono in mente centri culturali come Berlino, Londra, Milano…

Questa dei centri artistici è una tendenza nata circa venti anni fa quando, in paesi con situazioni economiche differenti rispetto all’Italia, caratterizzata da una economica abbastanza mediocre, si tendeva a creare un “marchio”. Questo orientamento ha provocato la nascita di “scuole” o gruppi di artisti accomunati da simili linguaggi o poetiche, vedi per esempio l’arte inglese o la scuola di Lipsia. A parere mio, queste sono solo etichette legate alle tendenze e alle mode del momento. In merito a ciò, mi viene in mente il lavoro di Manfredi Beninati (Palermo, 1970) nel quale riconosco un linguaggio estremamente pittorico, dal carattere internazionale, e migliore rispetto a quello di artisti appartenenti, per esempio, alla precedente citata Scuola di Lipsia.

a cura di martina colajanni

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