02 dicembre 2011

fino al 15.I.2012 Flavio Favelli Milano, Cardi Black Box

 
Un po’ d’America e un po’ di provincia italiana, un po’ di nostalgia e un po’ di anni settanta: un mix esplosivo che scava nell’immaginario, in una realtà “preistorica” affollata da miti in celluloide…

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Manatthan non è l’isola cuore della città di New York in questa mostra, se non la sua proiezione vista dalla distanza di un universo che non si cura di mettere l’h al posto giusto.
É un cosmo che per alcuni versi rasenta la provincia, per altri un lato vagamente pruriginoso, erotico, legato in tutti i casi ad una poetica di riappropriazione sociale, simbolica e personale. Il lavoro di Flavio Favelli da sempre si compone di una serie di combinazioni che a loro volta si aprono su differenti piani di lettura.
Manatthan Club è una sorta di evocazione quasi mitica, una declinazione poetica ed esplosiva di contrasti intorno alla possibilità di rimpastare la realtà attraverso la memoria, la percezione degli oggetti, l’ossessione per un luogo: in questo caso c’è un rifermento effettivo e preciso alla Sicilia che l’artista, dichiara nell’intervista con Ilaria Bonacossa che accompagna l’esposizione, considera come un ambiente nel quale è impossibile vivere ma un Eden dove si può solo desiderare.
É un club il Manatthan, a metà strada tra Licata e Gela, una delle zone più inquietanti e disastrate della regione e della penisola, dove il sogno della metropoli statunitense è lo stesso che aleggia nelle fantasie dei bambini di fronte al proibito, all’impossibile, allo stato di adult-only.

Distribuita sui due piani della galleria la mostra si compone di una serie di opere realizzate appositamente per l’occasione e giocate sui miti della pornografia e degli eroi dell’infanzia, in questo caso Sandokan.
In qualche modo ci si addentra in un film degli anni settanta, a scelta tra la commedia adatta alla borghesia, inquieta di fronte ai titoli dei cinema porno che, ricorda l’artista, erano spesso nel pieno dei centri cittadini, o sul genere poliziesco, dove le auto irrompevano sulla scena e si sparava, come spesso avviene ancora, in una tabaccheria piuttosto che in una sala da biliardo.
E Sandokan, il mito: Kabir Bedi,  il famoso malavitoso denunciato da Roberto Saviano nel libro Gomorra o il tale che Favelli dice si aggiri a Palermo cantando, senza ricordarsi le parole, la colonna sonora degli omonimi film? Probabilmente tutti, a seconda della propria percezione, ma come ricorda la stesso artista, la questione riguarda più profondamente l’idea di un idolo intramontabile se all’alba del duemila ancora si sceglie come soprannome per un individuo.
Al piano superiore della Cardi Black Box ecco i collage realizzati con le figurine Panini originali e messi sotto imponenti cornici sbreccate, come nella migliore tradizione dei vecchi quadri di famiglia.
Una mostra che affronta da vicino il tema di una fuga: da un mondo troppo brutto, da una condizione svantaggiata dovuta all’età o alla propria esistenza, nella necessità di costruirsi una vita senza oppressioni di sorta lasciandosi avvolgere e cullare dal sogno di un mondo nuovo e luccicante anche se finto.

E così, dentro i mobili che da sempre accompagnano le installazioni di Favelli una serie di sovrapposizioni: neon trovati e locandine, poster dai nomi ammiccanti e in qualche modo richiamanti a un erotismo d’annata: Labbra aperte, Josephine, Voglie Bagnate, Carne Porno. Modernariato legato indissolubilmente alle generazioni che dagli anni sessanta si sono avvicendate alla vita adulta e che ricordano i neon al di fuori dei bar o dei locali notturni (curiosamente a Milano quasi tutti scomparsi mentre a Torino ancora vivi e vegeti soprattutto nel centro storico) e che in milioni di occasioni sono ricorsi all’idea dell’America, alla città trasgressiva e borderline per eccellenza, quella Grande Mela che negli anni sessanta e settanta aveva affacciato proprio su Times Square, il suo centro pulsante, la zona calda della prostituzione, dei sexy shop, dei cinema pornografici.
Per lanciarsi in qualcosa di impossibile e in una ricostruzione di senso.
Manatthan Club in qualche modo è un’esposizione che contiene uno spunto filologico nei confronti dei miti, e dei motivi, ai quali ha sempre guardato la grande provincia italiana e che hanno da sempre affascinato scrittori, artisti e registi come sintomatologie di un paese che spesso ha fatto i conti con l’isolamento e con una sorta di bacchettoneria innata e parrocchiana.

matteo bergamini
mostra visitata il 22 Novembre 2011

Fino a Gennaio 2012
Flavio Favelli
Manatthan Club
Cardi Black Box
Corso di Porta Nuova 38
20121 Milano
Telefono: +39 0245478189
Fax: +39 0245478120
gallery@cardiblackbox.com
Lunedì – Sabato, 10 – 19
paola@cardiblackbox.com
press@paolamanfredi.com
gallery@cardiblackbox.com

 

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