11 maggio 2007

fino al 27.V.2007 Amedeo Bocchi Parma, Sedi varie

 
Belle donne, nudi e celebrità. Ma anche impegno sociale e tanta struggente malinconia. Ecco il mondo ancora misconosciuto di un artista che seppe interpretare le sue creature e le loro passioni

di

“Ecco finalmente un artista che ci dà creature vive e capaci di soffrire le loro passioni: soprattutto ecco un uomo che sente la sana voglia di vivere. Limpidezza di colore: armonia di toni e di figure”. Così nel ‘29 la scrittrice umbra Maria Luisa Fiumi giudicava il lavoro di Amedeo Bocchi (Parma, 1883 – Roma, 1976), pittore tanto ritroso quanto ambiguo e complesso nelle tematiche. Bocchi seppe coniugare differenti registri artistici pescando di fiore in fiore tra le suggestioni d’inizio secolo, dal Simbolismo allo Jugendstil, dalla leggerezza del Liberty all’impegno della pittura sociale. Mai succube di alcun maestro (dal suo insegnante Cecrope Barilli a Gustav Klimt), Bocchi fu interprete del suo tempo ma con una caratteristica saliente: la malinconia. Ne dà conto la mostra parmense curata da Luciano Caramel, che ha l’intelligente intento di riproporre pressoché l’intera produzione dell’artista (un’ottantina di lavori) radunando non solo le note opere della Galleria Nazionale di Parma e della Ricci Oddi di Piacenza, ma anche le tele provenienti da collezioni private e dagli eredi del pittore. L’occasione, dunque, è unica e abbastanza ben sfruttata negli allestimenti, anche se un po’ dispersiva nella monumentale articolazione in quattro sedi, fatta salva l’obbligatoria tappa alla Sala del Consiglio della Cassa di Risparmio di Parma, dove campeggia la decorazione realizzata da Bocchi tra il 1913 e il 1916, tra i più fulgidi esempi di Liberty nostrano.
La malinconia, si diceva. Nella pittura di Bocchi anche neiAmedeo Bocchi, Ritratto di Angela Isola, 1911 ca. 60 X 45, Olio su tela collezione privata momenti di levità sembra assente la spensieratezza. Le sue tele sono coperte da un sottile velo nero di mistero, per non dire di dolore. In due ritratti di Rita Boraschi (sposata nel 1906) la donna osserva lo spettatore di tre quarti, il suo sguardo è penetrante, sensuale ma pensoso, pervaso da una discreta quanto immensa tristezza; nel terzo gli occhi di Rita sono abbozzati e si perdono nel vuoto. Presagio della sua prematura fine? Difficile dirlo, ma la sensazione si ritrova nei ritratti della figlia Bianca, morta ventiseienne nel ’34: sin da piccola (Bianca bambina, 1912) sembra guardare oltre, la sua espressione è enigmatica (Bianca con cappello, 1923), assorta (Ritratto di Bianca, 1924), pensosa (Bianca in grigio), assente (Bianca in rosa, 1930). Mai un sorriso, mentre un’indefinita cappa di lutto incombe, come se per questo mondo fosse solo un angelo in prestito. Stesso languore nel ritratto della Contessa Amalia Anguissola (1905), ma anche nella fanciulla pensosa di Fior di loto (1906) e nelle più tarde Signora in Nero (’12) e La saggia (’16), che sembra la versione “angelica” della star del muto Theda Bara. Opere decadenti che paiono ispirate da Gabriele D’Annunzio.
Le tragedie familiari segnarono Bocchi nel profondo. Ciononostante, “egli è veramente dei pochi -gli eletti- che anche nel fondo più buio della propria umanità possono sempre trovare un divino riflesso di stelle” (Fiumi). Ne sono testimoni i densi ritratti del Povero e dei Due vecchi, oltre alla penetrante capacità di denuncia sociale dei Pescatori delle Paludi Pontine. E se i paesaggi di Terracina sono momenti di puro abbandono, col tremendo La malaria (1919) e lo struggente A sera sui gradini della Cattedrale (1920) Bocchi torna al suo ovile interiore di inconsolabile sconforto. Dopo i lutti familiari, la sua pittura si idealizza in un itinerarium mentis verso l’assoluto.
Amedeo Bocchi, Fior di Loto, 1905. 258 X 125, Olio su tela, Comune di Parma
L’arditismo cromatico, che torna negli Anni ’70 in Autoritratto in giardino con le modelle e Fenicotteri -ricordando lo sgargiante Nel parco dei ruggenti Anni ’10- esplode nel disperato olio su legno dipinto un anno prima della morte, Pensando alla teoria di Newton: atterriti uomini verde e giallo acido trascinati dalla forza di gravità verso il basso. Angeli caduti dal paradiso costretti a piombare nel nostro inferno quotidiano.

elena percivaldi
mostra visitata il 25 marzo 2007


Amedeo Bocchi, 1883 – 1976. La luce della bellezza e della “vita vera”. Parma, Palazzo Pigorini (Via Repubblica, 29), Museo Amedeo Bocchi (Palazzo Sanvitale, Via Cairoli), Sala del Consiglio della Cassa di Risparmio di Parma e Piacenza (P.zza Garibaldi), Sala Bocchi della Galleria Nazionale di Parma.
Orario: 9 – 19, chiuso i lunedì non festivi e il primo maggio.
Palazzo Pigorini: intero 5 €; ridotto 2 € (dai 6 ai 18 anni, over 65, studenti universitari, famiglie, categorie convenzionate); gratuito (scolaresche su prenotazione, bambini fino ai 6 anni, portatori di handicap con accompagnatore, giornalisti con tesserino, militari in divisa);
Museo Amedeo Bocchi: ingresso gratuito
Sala Bocchi Galleria Nazionale e Teatro Farnese: intero 2 €
Sala Bocchi Cariparma e Piacenza: visite guidate solo su prenotazione
Visite guidate per gruppi (massimo 25 persone)
Percorsi e Laboratori didattici
Per informazioni e prenotazioni tel. 0521 218967
Sito della mostra: www.mostraamedeobocchi.it
Informazioni turistiche: IAT Comune di Parma 0521 218889
Catalogo MUP Editore, € 40


[exibart]


1 commento

  1. Bell’articolo, complimenti! Non conoscevo Bocchi, andrò sicuramente a vedere la mostra, mi avete fatto venire voglia di conoscere questo artista così sfortunato e profondo. ciao e buon lavoro.

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