30 settembre 2011

fino al 5.XI.2001 I KNOW ABOUT CREATIVE BLOCK AND I KNOW NOT TO CALL IT BY NAME Milano, Lisson Gallery

 
Quarantaquattro anni di onorata carriera a Londra, Lisson Gallery aveva iniziato con le mostre di Derek Jarman, Richard Long e Sol LeWitt, solo per citarne alcuni, poi vennero Tony Cragg e Anish Kapoor, una sede a New York e ora, inaspettatamente, lo sbarco a Milano a due passi dal Cenacolo vinciano…

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“I Know about creative block and I know not to call it by name” è un progetto curato dall’artista Ryan Gander. Un progetto speciale si potrebbe definire, dove un gruppo di dieci artisti appartenenti alla scuderia di Lisson Gallery vengono re-mixati per dare spazio ad una riflessione sull’ispirazione, sul tormento creativo e sugli stati di abbandono, o di non lavoro, che permettono all’artista di generare pensieri, concetti, idee.
Il termine “re-mixato” non è casuale; si tratta infatti di una rivisitazione, da parte di molti artisti, di opere già esistenti a favore di un’aderenza più viva al progetto espositivo di Gander che, seguendo le parole di Nicolas Burriaud del saggio, ormai passato alla storia, Postproduction, si situa nella posizione di un Dj che ricrea la propria playlist a partire da quello che di più interessante si trova tra le mani per esprimere un contributo da moderatore, situandosi in una posizione curatoriale che ha, in qualche modo, del performativo.
Una mostra zeppa di riferimenti teorici e di esperimenti che traccia anche una riflessione sulle posizioni intercambiabili (o no?) delle figure dell’artista e del curatore, dove la soglia di confine di una con-fusione di generi e attitudini è assolutamente travalicata.
Cory Arcangel, newyorkese classe 1978 è il primo autore del depistaggio: l’artista sceglie di profumare i comunicati stampa della mostra con il deodorante Lynx. Un gesto minimo che si fa portatore di una serie di messaggi sui quali l’arte contemporanea spesso si è trovata ad indagare; la questione dell’invisibilità e della scomparsa dell’opera (se non si legge il comunicato stampa non si viene a conoscenza dell’azione), il mischiare in una mostra d’arte, dove in teoria si lavora su concetti di unicità ed esclusività, un prodotto di massa distribuito ovunque, l’essere completamente illusorio del corpo dell’opera.
 

Allora & Calzadilla, rappresentanti degli Stati Uniti alla Biennale di Venezia propongono la serie fotografica del 2005 Back fire, dove le mani dell’artista sono impegnate medesimamente a reggere una stampa fotografica di una combustione di una galassia e ad appiccare il fuoco, dal retro, alla stessa stampa; un detournement sull’immagine dell’esplosione cosmica, del fuoco, una tautologia ricercata nel parallelo tra l’universo celeste e il quotidiano; Giulio Paolini presenta Lettere da Torino, opera del 2008 ispirata al tormento di Nietzsche che proprio a Torino passò l’ultimo periodo prima dell’esaurimento nervoso; tra piani di plexiglass e schizzi di disegni, le lettere strappate sono il chiaro messaggio di una revisione del pensiero, del momento in cui crollano le convinzioni e la forza si perde tra i fantasmi del blocco creativo, appunto.
E poi ancora Lawrence Weiner che racconta di strategie, manovre, situazioni e blocchi, metafora del mondo della creazione e anche, perché nasconderlo, del sistema dell’arte, attraverso la narrazione, su una parete esterna alla galleria, di diversi momenti del gioco del rugby, sport che l’artista era solito praticare negli anni della gioventù passati in un Bronx che nulla aveva a che vedere con la quasi tranquilla città che ci si trova davanti oggi.

Street polemic è invece una documentazione fotografica di una performance del 1994 ad opera di Gerard Byrne; tutte le immagini, lasciate in formato provino di stampa, sono state stampate su un unico grande supporto, trasferendo così l’interpretazione del lavoro verso una progettualità che diviene sé stessa opera; una serie di momenti salienti anche nei tempi morti, nella capacità di raccogliere un’azione che altrimenti andrebbe inesorabilmente perduta.
E poi ancora Art&Language, Spencer Finch, Haroon Mirza, Jonathan Monk…un inizio degno delle aspettative che si possono riservare ad un’istituzione come Lisson Gallery.
 
 
matteo bergamini
mostra visitata il 21 Settembre 2011
 
Lisson Gallery
Via Zenale 3
dal 16 settembre
20123 Milano
Da Lunedì a Venerdì 9.30-13.00/ 15.00-18.30
Sabato su appuntamento
Tel: 0289050608
milan@lissongalley.com 

 

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