16 ottobre 2018

Il Pakistan a Milano

 
Imran Qureshi in dialogo con il collezionista Giuseppe Iannaccone. L'occasione è una mostra che porta l’arte di un Paese lontano, e spesso controverso, in un museo italiano

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“Art for Education: Artisti Contemporanei dal Pakistan”, a cura di Salima Hashmi e Rosa Maria Falvo, apre domani al Museo Diocesano di Milano.
La mostra, organizzata da Italian Friends of The Citizens Foundation, prsenta 60 artisti, affermati ed emergenti, questi ultimi selezionati attraverso un concorso, con l’obiettivo di raccogliere fondi a favore di The Citizens Foundation, l’organizzazione pakistana non governativa, laica e senza scopo di lucro che dal 1995 promuove l’istruzione femminile di qualità in Pakistan.
Salima Hashmi, curatrice, afferma: «È strano come più le cose peggiorino, migliore diventi l’arte». Meno catastrofica, anche se strettamente collegata alla “cronaca sociale” del suo Paese, anche l’idea di Imran Qureshi, “artista big” che per l’occasione ha scelto di donare un dittico site-specific (le opere donate e vendute per sostenere questa mostra serviranno, appunto, per la creazione di “possibilità scolastiche”), che abbiamo incontrato in esclusiva insieme ad un altro supporter italiano: l’avvocato e collezionista Giuseppe Iannaccone: «Nell’arte la questione fondamentale è che gli artisti esprimano quello che sentono. Non posso che essere partecipe di questo progetto, perché preoccuparsi dei problemi che gravitano sul mondo e non restare ancorati alla nostra quotidianità è uno dei modi per far progredire civilmente la stessa umanità».
Imran Qureshi, da Lahore, per chi non lo sapesse è stato non solo tra gli artisti ad avere il “Roof Garden Commission” del Metropolitan di New York, ma è stato anche ospite del MACRO nel 2013, quando ha vinto il premio “Artist of the year” di Deutsche Bank. 
«Per me è una grande emozione tornare in Italia, dopo la mostra a Roma, nel 2013. C’è una grande connessione tra il mio Paese e il vostro, e questo è dato anche dal comportamento degli italiani. È un paese che vivo e che si sviluppa in maniera organica, mentre negli altri Paesi europei tutto è molto pianificato», ci racconta Qureshi pochi giorni fa a Milano, nello studio Iannaccone.
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Imran Qureshi
Che spiega che l’amore per l’arte di Imran sia nata in maniera del tutto istintiva, «Lottando per averne una piccola miniatura della prima serie, che avevo vista esposta al Met. Credo che Qureshi sia tra i più abili a raccogliere i sentimenti della gente del suo Paese facendoli diventare assolutamente universali».
Un amore sbocciato navigando sul web, una domenica. E la richiesta, l’indomani, alla curatrice della collezione Rischa Paterlini di iniziare la ricerca: «L’intuizione mi è stata chiarissima da subito. Un’autentica poesia. Da allora, su Imran ho avuto solo conferme».
Un incontro emozionante quello avvenuto a porte chiuse tra l’artista e l’avvocato, al loro secondo incontro, dopo un passaggio due anni fa alla fiera di Dubai: «La mia galleria a Londra (Thaddeus Ropac) mi aveva informato subito che vi era un collezionista italiano che aveva comprato miei lavori. Oggi, vedendo questa collezione sono rimasto incantato anche perché lo spirito che guida l’avvocato e il mio modo di operare in arte sembra fondersi».
Per la mostra al Diocesano, come dicevamo poco sopra, Qureshi ha donato un dittico realizzato appositamente, creato con una serie di pieghe, un’idea venuta in relazione alla raffigurazione dei panneggi che avvolgono Cristo con i tessuti e il “rosso” del Pakistan.
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Biennale di Sharjah 2011: Imran Qureshi, Blessings Upon the Land of my Love, 2011. Site-specific installation, Commissioned by Sharjah Art Foundation

Prende forma così quest’opera che se da una parte è molto densa, lascia l’altro spazio – la seconda tela – completamente immacolata: «Ognuno dei noi potrà leggerci quello che desidera, e potrà chiedersi se questi segni rossi sono destinati a restare oppure a sparire, lasciando una pagina bianca. L’istruzione è davvero importante come filo conduttore della mia attività di artista. Da docente mi sono accorto quanto sia importante il lavoro di costruzione di scuole da parte della fondazione. E ogni volta che si può sostenere l’istruzione io ci voglio essere», spiega Qureshi, incalzato da Iannaccone che ricorda come reinventare il lavoro, per un’artista, significa accettare la sfida di crescere, rischiando anche sul fronte del mercato: «Inseguire qualcosa che rinnovi l’artista stesso e che dia nuove emozioni a noi che vediamo è il risultato perfetto», secondo l’avvocato.
Ma in questa mostra, oltre alle relazioni tra Italia e Pakistan, va in scena anche il concetto di libertà, dell’arte di ambo le parti che si guarda a vicenda, superando confini e barriere. E anche la collezione milanese, in un certo senso, nella sua diversità, ci mette di fronte all’idea di libertà, di condivisione, che è poi sempre una questione di educazione. Ma per un artista come Qureshi, che ha iniziato come pittore di miniature usando uno stile e una tradizione molto antica, apprendendo molto accademicamente la tradizione Mughal, come si definisce la libertà espressiva? «Volevo arrivare alla modernità con un nuovo modo di miniare. I miniaturisti dell’antichità ritraevano scene di corte su commissione, e non avevano libertà di espressione. Io ho voluto legare la tradizione antica per esprimermi come artista di oggi. Con le mie opere parlo di problemi seri e politici, che seppur con riferimenti alla società pakistana sono globali. Il mio lavoro tocca la situazione politica: non sono solo le persone del mio Paese a soffrire; tutte le persone nel mondo soffrono, e la sofferenza umana è la stessa in tutto il mondo. Affronto queste tematiche con diversi strumenti, con diversi formati: video, installazioni site specific, ma tutto quello che realizzo ha un impatto sul presente attraverso le tracce della tradizione. 
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Haider Ali NAQVI, Behind the scene, 2017
Ma c’è un’altra cosa che unisce l’avvocato Iannaccone e l’artista pakistano, oltre che Belpaese e Pakistan: il fatto che le collezioni pubbliche d’arte non siano certo numerose come quelle “private”: come l’avvocato sostiene il pubblico (prestando e finanziando) e aprendo le porte del suo studio, se mai vi capiterà di passare per casa Qureshi potrete vedere esposti i lavori dei suoi studenti piuttosto che di colleghi.
«Io ho la passione di un’arte dove gli artisti scavano nell’umanità, e l’ho fatto riferendomi a tutto il mondo. L’arte è libertà e la sua funzione è “insinuarsi” nella vita, per far prendere coscienza del mondo».
Un po’ come svela la prima miniatura di Qureshi che Iannaccone ama particolarmente: si intitola Moderate Enlightenment, e fa parte di una serie di 20, realizzate tra 2006 e 2010, in maniera non continuativa. Sono il risultato di una riflessione intorno all’11 settembre, quando il mondo è cambiato per tutti. «Ho realizzato allora che si stava creando il desiderio di “segregare” alcune parti della società in veri e propri “recenti”: chi è religioso, per esempio, deve stare relegato in quel campo e non può occuparsi di arte contemporanea, secondo le “norme vigenti”: un mio collega artista e insegnante, a Londra, vestito da mullah e devoto musulmano, non veniva accettato nella sua professione perché troppo vicino a un’altra idea. In queste venti miniature ho riflettuto sulla percezione del cambiamento attraverso piccole cose: si vedono infatti una persona che fa bolle di sapone, un uomo che solleva pesi (l’opera che fa parte della Collezione Iannaccone), un uomo che contempla la natura, uno che scrive poesie d’amore. Ho cercato un dialogo contro l’estremismo che vieta di “perdere tempo” per attività non religiose. E c’è anche la politica: in quel periodo gli USA erano di nuovo in guerra con la Russia, ma una volta risolti i loro “problemi” gli americani se ne sono andati e ci hanno lasciato con i nostri di problemi, aumentati». Ecco perché, insieme ai mullah, vedrete i colori della bandiera statunitense. 
Matteo Bergamini

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