19 dicembre 2018

Ineditamente Michelangelo Pistoletto

 
Da Mazzoleni a Londra una mostra racconta l’artista con sguardo differente rispetto alla sua “immagine pubblica”: 60 anni di opere svelate dal curatore, Alberto Fiz

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È notizia di ieri che, dalla primavera 2019, tra Biella e Trivero si svolgerà l’esposizione incentrata sul dialogo tra l’opera di Michelangelo Pistoletto (1933) con quella di suo padre Ettore Pistoletto Olivero (1898-1982), apprezzato pittore di paesaggi e nature morte. Da una mostra prossima alla partenza a una alla sua settimana finale (chiusura il 21 dicembre), dal titolo “Origins and Consequences”, ospitata nella sede londinese di Mazzoleni. Protagonista sempre Pistoletto e, a firmare la curatela, ancora Alberto Fiz che abbiamo intervistato su questo progetto oltremanica.
“Origins and Consequences” presenta Pistoletto con un occhio diverso da quello consueto. Si parte, infatti, dai suoi lavori pittorici del 1958-59. Ci descrive il venticinquenne Pistoletto pittore?
«È certamente un aspetto distintivo della mostra aver presentato Michelangelo Pistoletto Prima dello Specchio. Del resto, proprio questo è il titolo che ho voluto dare a una sala di grande valore storico che presenta tre opere realizzate nel biennio 1958-1959. Non è solo un’indagine sull’opera giovanile, ma consente di analizzare in filigrana il processo che conduce ai Quadri specchianti risalenti al 1962 ed esposti, per la prima volta, nel 1963 alla Galleria Galatea di Torino. Attraverso i suoi primi esperimenti, appare evidente come per Pistoletto fosse necessario trovare una strada alternativa rispetto alla pittura tradizionale, e il suo scopo è quello di liberare il vuoto che sta dietro la figura. È un cambiamento radicale che affranca l’arte da ogni forma di drammaticità o di psicologismo esistenzialista. Non a caso Pistoletto svuota la rappresentazione dai suoi significati tradizionali, come appare evidente, in maniera emblematica, ne L’uomo nero, l’alter ego dell’artista che proietta la propria immagine in un contesto allargato. Ciò che conta è strappare la figura dai condizionamenti della soggettività. Pistoletto lavora sullo sfondo da cui deve emergere la figura: in tal senso, un’influenza determinante è rappresentata dalla frequentazione dello studio del padre Ettore Pistoletto Olivero, pittore e restauratore, dove ha iniziato la sperimentazione sui materiali. Credo che la prima idea dei Quadri specchianti gli sia venuta osservando le icone bizantine e i fondi oro. Del resto, oro, argento e rame sono stati utilizzati da Pistoletto per trovare la soluzione più idonea e risolvere il problema che lo ossessionava». 
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Michelangelo Pistoletto: Origins and Consequences, vista della mostra, Courtesy Mazzoleni
Dopo la stagione figurativa, l’indagine sui materiali condotta dall’artista lo porta a un incontro decisivo, quello con il nero. Quali sono gli effetti?
«È l’ultimo passaggio prima di arrivare ai Quadri specchianti. La figura, infatti, appare per la prima volta dal nero come ricorda lo stesso Pistoletto: “Quando nel 1961, su un fondo nero, verniciato fino a diventare specchiante, ho cominciato a dipingere il mio viso, l’ho visto venirmi incontro, staccandosi dallo spazio di un ambiente dove tutto si muoveva e ne sono rimasto scioccato”. Il riferimento è alla serie di dipinti ad acrilico e vernice plastica intitolata Il presente dove ciò che conta è l’istantaneità dell’azione che si prende carico del passato e del futuro. In mostra questa fase cruciale viene sottolineata dalla presenza di Specchio nero, un lavoro a vetro smaltato che, non a caso, riporta la doppia datazione 1961-1989. Rivedendolo oggi sembra quasi un omaggio a Malevič».
In mostra lei sintetizza il percorso di ricerca di Pistoletto per tappe. Qual è il filo conduttore della sua ricerca?
«Cogliere l’assoluta coerenza di un percorso sviluppato in oltre sessant’anni. Da L’acrobata del 1958 sino a Partitura in nero del 2012 che chiude cronologicamente la mostra, appare evidente come per Pistoletto non conti la cosa in sé, bensì il passaggio tra le cose. E tutto ciò in base a una prospettiva multipla, dinamica ed espansiva che assorbe la dimensione temporale non più in chiave metaforica, ma come accadimento che si modifica nel momento stesso in cui si produce. La straordinaria attualità di questo procedimento la cogliamo alla perfezione oggi confrontandoci con la società dei social media, dove tutti siamo perennemente connessi, linkati assorbiti in un flusso continuo d’immagini senza soluzione di continuità». 
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Michelangelo Pistoletto: Origins and Consequences, vista della mostra, Courtesy Mazzoleni

I Quadri specchianti sono i lavori più noti di Pistoletto. Tuttavia, attraverso i decenni, come è riuscito ha declinarli in maniera sempre diversa?
«I Quadri specchianti sono una delle invenzioni più significative del secondo dopoguerra e, al contrario di altri segni, non invecchiano in quanto vengono attivati dalla nostra presenza: ribaltano la prospettiva tradizionale, così come l’esigenza espressa da Lucio Fontana di andare, con il taglio, oltre la tela. Pistoletto ha creato un meccanismo dinamico dove non è solo l’arte a entrare nella vita, ma è la vita a entrare nell’arte. La società viene colta nel suo farsi e, se si volesse osservare il suo lavoro in chiave sociologica, sarebbe facile scoprire mode, comportamenti, tic, oltre ai flussi e ai riflussi della politica. I Quadri specchianti, insomma, contengono la nostra storia e il nostro futuro in un continuo processo di trasformazione». 
In mostra sono presenti diverse opere inedite. Ce le può descrivere sinteticamente?
«È una mostra che, pur in maniera sintetica, offre la possibilità di analizzare l’indagine di Pistoletto nei suoi differenti aspetti, attraverso il suo lungo iter creativo, non limitandosi alla sua produzione più nota. 
È stata fatta un’ampia ricognizione per proporre una serie di opere poco viste o custodite all’interno di collezioni private senza mai essere state esposte prima d’ora. Tra queste, vale la pena citare due Quadri specchianti del 1974 Tovaglia azzurra e, soprattutto, Donna con lampada, dove compare, come scrive Pistoletto sul retro, “Grazia Mussat mentre sta illuminando l’ambiente”. Si tratta della moglie del fotografo Paolo Mussat Sartor, a lungo suo collaboratore. Al di là dei rimandi di carattere personale, è un lavoro emblematico e intrigante, dove lo specchio funge da agente provocatore. Chi sta fotografando Grazia Mussat mentre illumina l’ambiente? Passando alla scultura, un’altra opera di particolare significato è Figura che si guarda del 1983, dove Pistoletto riflette sull’immagine assillata dalla ricerca del doppio, liberandola dal peso della materia. L’opera, di 2,5 metri d’altezza, esposta per la prima volta in quest’occasione, simula il marmo, ma è in poliuretano, quasi a voler sfuggire alla monumentalità. Ciò che conta è la componente mentale dell’opera, la sua proiezione nella storia che si fa presente. La scultura rientra nei progetti realizzati nella prima metà degli anni Ottanta, in relazione con la grande mostra del 1984 al Forte Belvedere di Firenze. Sono lavori dove Pistoletto riaggrega le molecole della storia secondo un sincretismo che combina molteplici passati e una sovrapposizione pressoché infinita di elementi. Tra le opere esposte viste solo in rarissime occasioni, merita di essere ricordata anche La porta obliqua del 1980, esposta in una sola occasione alla Galleria Toselli di Milano insieme a Tempio a dondolo: due indagini che hanno come riferimento la precarietà della visione. In catalogo, infine, è pubblicato Un Avamposto Spirituale del 1995, installazione a quattro mani con Enzo Cucchi dove il segno di quest’ultimo interagisce con le cornici colorate di Pistoletto. Per motivi di spazio non è stata presentata a Londra ma rientra alla perfezione nel mio progetto e spero di poterla presto esporre». 
Cesare Biasini Selvaggi

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