05 maggio 2019

VENICE/ CASA DEI TRE OCI

 
«LA MIA VITA DI FERITE E BELLEZZE»
Incontro con Letizia Battaglia e le sue immagini “come scelta di esistenza”

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Non ci sono solo immagini di “morti ammazzati” nell’archivio fotografico di Letizia Battaglia (Palermo 1935) anche se certamente per lei, che tra il ’74 e il ’91 ha diretto il team fotografico del quotidiano palermitano L’ORA, sono stati una terribile realtà con cui doversi confrontare. Troppe volte in quegli scatti che le sono valsi importanti riconoscimenti internazionali come il Premio Eugene Smith per la fotografia sociale nel 1985 (prima donna europea a riceverlo), The Mother Johnson Achievement for Life nel 1999 e, dieci anni dopo, il Cornell Capa Infinity Award, la morte ha avuto il sopravvento sulla vita. Ma c’è anche altro: ritratti di persone che si abbracciano, ballano, ridono, si baciano: una tenerezza e una passione che avvolge gli esseri umani rendendoli fortissimi e invulnerabili, se non altro in quella frazione di secondo che si dilata nel tempo della fotografia, come dichiara la mostra antologica “Letizia Battaglia. Fotografia come scelta di vita”, curata da Francesca Alfano Miglietti alla Casa dei Tre Oci di Venezia (fino al 18 agosto), organizzata da Civita Tre Venezie e promossa da Fondazione di Venezia con la partecipazione di Tendercapital, accompagnata dal catalogo pubblicato da Marsilio Editori. 
Una straordinaria collezione di sguardi che si rincorrono, s’incontrano, si ritrovano senza mai lasciare indifferente l’osservatore. Persino la fotografa non riesce a non emozionarsi nel ripercorrere questi trecento momenti della sua vita, lungo le pareti dello spazio espositivo. 
Per la prima volta le immagini iconiche (presenti nella mostra “L’Italia dei fotografi. 24 storie d’autore”, curata da Denis Curti in occasione della mostra inaugurale di M9, il museo multimediale del Novecento di Mestre) lasciano spazio a scatti inediti. «Queste foto, sono state fatte per emozione, empatia, bisogno di scambio – spiega l’autrice – ma poi non le consideravo all’altezza di un buon lavoro e le ho lasciate nel dimenticatoio».
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Letizia Battaglia, Domenica di Pasqua, Festeggiamenti per incitare l’uscita della statua di San Michele patrono di Caltabellotta, 1980

Immagini come il tradizionale picnic della pasquetta a Piano Battaglia, nel cuore delle Madonie o la ragazzina che lava i piatti di Monreale; gli innamorati davanti al Tempio di Segesta; la ricamatrice di Montemaggiore Belsito o l’allegra quotidianità nell’accampamento zingaro alla periferia di Istanbul; Edoardo Sanguineti a Palermo mentre sorseggia il caffè; un meraviglioso Josef (Koudelka) con il cilindro, come pure Willy Ronis fotografato ad Arles e anche Lisette Model. 
«Fu un grande colpo, – racconta Letizia Battaglia ricordando l’incontro con la grande fotografa americana mentore anche di Diane Arbus – siccome era più bassa di me, perché non sembrasse ancora più piccola, per fotografarla mi inchinai. Ma lei mi disse di alzarmi. Brava quella piccola signora perbene!».
Quanto all’attenzione per le bambine afferma: «sono io a cercarle: quando incontro la ragazzina imbronciata, sulla soglia dell’adolescenza, magra, con le occhiaie, i capelli lisci, sono io. È come se facessi un incontro di bambina con bambina».
Tra i volti noti riconosciamo quello di Maria Lai, Donna Ferrato, Felicia Bartolotta mamma di Peppino Impastato con la foto del figlio (e in un altro scatto il manifesto-necrologio con la scritta “L’omicidio ha un nome chiaro: mafia”); Luigi Ghirri con il dito nel naso; Giorgio Boris Giuliano (capo della Squadra Mobile di Palermo ammazzato dalla mafia nel 1979) e Pier Paolo Pasolini fotografato l’11 dicembre 1972 al Circolo Turati di Milano mentre «veniva fatto a pezzi” dopo l’uscita del suo film I racconti di Canterbury. 
«Ho amato Pasolini a distanza, come con le bambine. Fotografo e poi scappo. Un piccolo furto che faccio con la macchina fotografica e poi me lo porto a casa».
Proprio di fronte alla sequenza di Pasolini s’intercettano altri sguardi su Palermo, sempre attraverso dettagli. «Avete messo pure l’asinello!», dice sorpresa Letizia Battaglia fermandosi, subito dopo, davanti alla foto con la 500 che inquadra il gatto e il topo “sazi di spazzatura”. 
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Letizia Battaglia, Donna che fuma, Catania, 1984 © Letizia Battaglia
«Non mi stai facendo bene», ha detto poi con gli occhi lucidi, rivolgendosi a Francesca Alfano Miglietti, davanti alle foto delle vittime della mafia. «Però questa è la mia vita, ferite e bellezze».
Quel piccolo fiore rosso nel bicchiere, preso dall’alto, il cui colore vivace e vibrante è restituito dalla fotografia a colori, segna un momento di pausa rispetto al bianco e nero carico di storie tragiche, così come l’esuberanza dell’arcobaleno (gay pride 2018) o la bambina con la bandiera comunista attutiscono il silenzio delle veglie funebri, dei Cristi e delle Madonne Addolorate in una continua alternanza tra sacro e profano, vita e morte. «Il colore non lo faccio, mi viene bene per caso».
Una meticolosa ricerca d’archivio che è stata possibile grazie al lavoro di Maria Chiara Di Trapani e Marta Sollima, nipote della fotografa, con la complicità della curatrice, ma mai la partecipazione diretta di Letizia Battaglia che ha volutamente scelto di mettersi da parte, decidendo di visitare per la prima volta la mostra solo durante la preview per la stampa. 
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Letizia Battaglia, Palermo pride, 2018
Senza seguire l’ordine cronologico, l’allestimento propone questa suggestiva sovrapposizione di passato e presente: «Una collezione di sguardi di questa grandiosa fotografa che sperimenta e guarda con un’attitudine all’autenticità, non alla povertà, le cui immagini parlano di umanità», afferma Francesca Alfano Miglietti.
«Ora fotografo le donne nude. Non c’è un intento femminista, ma il bisogno di semplicità e nettezza che per me, banalmente, è rappresentato dal corpo di una donna non necessariamente bella o sexy, semplicemente senza mutande».
Nudi nella quotidianità: la giovane assistente Nerina Toci mentre stira nel suo studio davanti alle scatole con le stampe o l’autista che la portava, insieme a Roberto Timperi, in giro per Salt Lake City in occasione del Sundance Film Festival (febbraio scorso) dove è stato proiettato il documentario Shooting The mafia di Kim Longinotto, dedicato proprio alla sua figura di fotoreporter. «In quella terra di mormoni, in un paesaggio immerso nella neve le ho chiesto di farsi fotografare nuda. Lei ha detto “da te, sì” e l’ho fatta sdraiare nuda con il culo sulla neve».
Quando fotografa, fa politica, ama… Letizia Battaglia non si risparmia – non si è mai risparmiata – dà tutta se stessa nell’assoluta libertà, riconoscente al mezzo fotografico che l’ha aiutata a tenere a freno la sua inquietudine restituendole un’imprevedibile visione di sé: «non conoscevo niente, ma c’era un intuito, un affacciarsi alla vita». 
Manuela de Leonardis

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