01 dicembre 2020

In Colombia è stata scoperta la Cappella Sistina delle pitture rupestri

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12 chilometri di pitture rupestri, tra animali, forme geometriche e figure antropomorfe, risalenti a 12.500 anni fa: la scoperta in Colombia, nel cuore della Foresta Amazzonica

Jungle Mystery: Lost Kingdoms of the Amazon. Ph: Ella Al-Shamahi

Animali estinti come mastodonti, palaeolama e bradipi giganti, cavalli dell’era glaciale e poi pesci, tartarughe, lucertole, uccelli e figure antropomorfe che sembrano danzare e tenersi per mano. Una sequenza lunga circa 12 chilometri di pitture rupestri risalenti a 12.500 anni fa e è stata scoperta in uno dei punti più impervi della foresta amazzonica, in un’area che rientra nel territorio della Colombia. Una sorta di cappella sistina su parete di roccia, che racconta vividamente cosa vedevano gli esseri umani del magdaleniano, l’ultima cultura del Paleolitico superiore secondo la datazione europea.

Le pitture non sono antiche quanto quelle delle Grotte di Chauvet, che risalgono a circa 35mila anni fa, o come quelle dell’isola di Sulawesi, datate circa 44mila anni fa, ma la scoperta è comunque preziosissima, sia per la quantità enorme di disegni che per la posizione geografica, se si considera che è intorno al 12.800 a.C. che nell’America pre-colombiana sono registrate le presenze di Homo sapiens, rimasto dal 25.000 a.C. come unico rappresentante della specie umana sulla Terra.

Ad annunciare l’incredibile ritrovamento, un team britannico-colombiano, finanziato dall’European Research Council e guidato da José Iriarte, professore di archeologia all’Università di Exeter e tra i massimi esperti di storia dell’Amazzonia precolombiana. In realtà, la scoperta risale a un anno fa ma è stata rivelata al pubblico solo adesso, per dare modo di girare Jungle Mystery: Lost Kingdoms of the Amazon, serie dedicata alle pitture rupestri della Colombia, che sarà trasmessa in Gran Bretagna a dicembre. Certo, non proprio il massimo in un’ottica di diffusione libera e trasparente della cultura ma tant’è. La presentatrice del documentario, Ella Al-Shamahi, archeologa ed esploratrice, ha detto all’Observer che «Il nuovo sito è così nuovo che non gli hanno ancora dato un nome».

Ph: Marie-Claire Thomas/Wild Blue Media

Il sito si trova a quattro ore di cammino a piedi partendo da San José del Guaviare, nella zona della Colombia conosciuta come Serranía de la Lindosa, nel parco nazionale di Chiribiquete, dove peraltro sono state trovate anche altre pitture rupestri. La zona è popolata da animali molto pericolosi per l’uomo, sempre meno di quanto potrebbe esserlo l’uomo per gli animali, oltre che per altri uomini. L’area, infatti, fino a qualche anno fa era interdetta in quanto zona di scontro tra le forze armate delle FARC e l’esercito del governo colombiano. Dopo più di 50 anni di scontri sanguinosissimi, in quella che può essere considerata a tutti gli effetti come una guerra civile – bisogna ricordare, infatti, che le FARC non sono riconosciute come un gruppo terroristico né dall’ONU né, dal 2016, dal Governo Colombiano –, attualmente è in atto una tregua che, secondo alcune previsioni ottimistiche, dovrebbe portare a una parziale riconciliazione, nonostante gli ultimi due presidenti della Colombia, Juan Manuel Santos e Iván Duque Márquez, siano responsabili di alcune delle azioni più efferate contro l’organizzazione guerrigliera.

Credits: Wild Blue Media

Ma la storia raccontata dalle straordinarie pitture rupestri a ben poco a che fare con queste vicende. Le pitture, realizzate principalmente in colori rossastri e ocra, sono talmente tante e raffinate, precise nei minimi particolari, che occorreranno anni per studiarle tutte in maniera approfondita: «Sono talmente dettagliate che è possibile vedere persino il crine dei cavalli», ha dichiarato Iriarte, che non ha nascosto l’emozione nell’osservare delle immagini così complesse, risalenti a migliaia di anni fa. Una delle figure antropomorfe indossa una maschera che ricorda un uccello dal lungo becco. Si trovano poi molte impronte di mani e figure geometriche. Molti dipinti sono stati realizzati a diversi metri di altezza e, senza impalcature adatte, è possibile visualizzarli solo con dei droni.

«È interessante notare che molti di questi grandi animali appaiono circondati da piccoli uomini con le braccia alzate, quasi adorando questi animali», ha detto Iriarte. «Una delle cose più affascinanti è stata vedere la megafauna dell’era glaciale, perché è un segno del tempo. Non credo che le persone si rendano conto che l’Amazzonia non è sempre stata questa foresta pluviale. Un cavallo o un mastodonte non avrebbero potuto vivere in una foresta. Sono troppo grandi. Questi dipinti non solo ci danno indizi sulle persone che li dipinsero ma anche su come poteva essere questa zona, cioè più simile a una savana», ha aggiunto Shamahi.

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