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L’intelligenza del mare diventa ricerca corale, nel Padiglione Italia di Guendalina Salimei
Architettura
Non la terra, non il mare ma la costa: è uno spazio liminale quello scelto da Guendalina Salimei come campo di indagine per il suo Padiglione Italia alla 19ma Mostra Internazionale di Architettura della Biennale di Venezia. Riprendendo il macrotema lanciato da Carlo Ratti nella Biennale (anche nell’uso del latino) la curatrice e architetto, docente alla Sapienza di Roma, affronta gli spazi costieri – che si estendono per circa 8mila chilometri nella Penisola – portando alle Tese dell’Arsenale il progetto Terrae Aquae. L’Italia e l’Intelligenza del Mare. E lo fa mettendo la ricerca in primo piano, tentando di orchestrare una pluralità di voci e intelligenze disparate: quelle dell’architettura, dell’arte, del suono, del video, della poesia, della fotografia, del disegno, fino alla cartografia. Una ricetta densa e necessaria per analizzare la complessità di questi spazi-soglia, snodi strategici per la vita umana, biomarina, commerciale, tecnologica, invitandoci a guardali con più attenzione e a riconsiderarli su una differente scala valoriale.

Con queste premesse il Padiglione Italia si presenta come un alternarsi di proposte e rappresentazioni, di immagini, ricerche e visioni. Un percorso che presenta esiti differenti nelle due tese e che invita il visitatore a percorrere su e giù vari livelli nello spazio, abbracciando una creatività eterogenea.
Ad accogliere il pubblico è Mare Mosso, imponente video lungo 24 metri che rappresenta uno dei punti più lirici e suggestivi della mostra. Una sorta di introduzione visiva, realizzata dall’architetto Luigi Filetici, che ha percorso l’Italia da nord a sud entrando negli avamposti strategici industriali delle coste e rielaborandoli attraverso una matrice poetica. «È un progetto che muove i suoi passi a partire dalle mappe di Limes, dalle ricerche di Caracciolo, da quelle di Canali sulle aree europee che fanno da connessione tra Oriente e Occidente», racconta l’autore a exibart. «Partendo da queste indagini approfondite ho esplorato i nodi strategici, i porti, le strutture industriali marittime, le aree in cui approdano le navi rigassificatrici, indispensabili per la vita energetica delle città».

Mare Mosso, che oltre al video iniziale prosegue nella seconda Tesa con una serie fotografica, ritrae il porto di Ravenna in cui sono situati i rigassificatori della Snam, quello di Trieste da cui partono i treni che portano il gasolio in Germania e nel centro Europa, quello di Gioia Tauro a cui attraccano le più grandi navi capaci di trasportare fino a 24 mila container, la fabbrica di cavi sottomarini di Pozzuoli. Un viaggio in luoghi di difficile accesso, condotto con uno guardo capace di trasformare il paesaggio industriale in materia lirica. «Queste strutture industriali, snodi attraverso cui passano dati, merci, gas e liquidi, sono necessari per la nostra vita», prosegue Filetici. «Anziché celarli agli occhi del pubblico, è bene cominciare a interpretarli e rappresentarli. La mia missione vuole essere il punto di partenza per un ragionamento sulla progettazione futura che renda possibile la coesione tra gli esperti di sostenibilità, di waterfront, di architettura. Ma anche di siti industriali, per valorizzare questi luoghi strategici di cui l’Italia dispone in grande parte; perché, è importante ricordarlo, il Mediterraneo siamo noi».

Con questa riflessione si sale la rampa verso il secondo livello della prima sala, passando dalla geografia industriale al cuore più vivo delle coste: le ritualità e tradizioni popolari legate al mare, grazie al contributo di Francesco De Melis. Con l’opera filmica Via maris, il video-artista, antropologo e compositore mostra la ricchezza del patrimonio immateriale che anima il perimetro terracqueo e costituisce una parte importante della cultura di intere comunità.
Sempre di mosaico si parla nella Quadreria, la sezione che raccoglie parte dei lavori giunti tramite la Call for Visions and Projects, lanciata a gennaio e conclusasi lo scorso marzo. Oltre 600 autori tra artisti, architetti, graphic designer e non solo, rileggono il tema proposto attraverso disegni, chine, collage, render, opere multimediali e realizzate con intelligenza artificiale, esiti coraggiosi di proposte, visioni, progetti realizzati e non realizzati, sogni nel cassetto.

«L’architettura, senza fede nel possibile, si spegnerebbe nella sterile ripetizione del già noto» si legge nel percorso, un monito che spiega la necessità curatoriale di alternare orizzonti visionari alla progettualità accademica. Quest’ultima, infatti, è protagonista della seconda Tesa, dove ancora una volta un percorso a due piani ci porta nel cuore pulsante della ricerca.
Le indagini condotte da università, enti e fondazioni sono accessibili tramite monitor interattivi, materiali, cartografie e pannelli informativi che esprimono i numerosi piani di lettura e le potenzialità di queste aree, proponendo percorsi di indagine su cui focalizzare orizzonti progettuali e proiettare scenari futuri. Un apparato consistente a cui si alternano, disseminate nello spazio, le opere di artisti contemporanei che fanno da contrappunto al tema marino e della sostenibilità: si tratta della scultura tessile di Thomas De Falco, del video subacqueo di Agnes Questionmark, delle installazioni di Marya Kazoun, Alfredo Pirri e Anna Muskardin. Una coreografia corale che penetra sottopelle grazie al suono che accompagna il pubblico per tutto il percorso: si tratta di Moti, opera di David Monacchi. Artista interdisciplinare, compositore e ricercatore, attraverso la sua installazione sonora multicanale diffonde nello spazio l’esito di oltre trent’anni di registrazioni che hanno al centro l’acqua: il suono di fiumi, ruscelli e mari in tempesta viene catturato attraverso tecniche sperimentali e sintetizzato in un lungo racconto sensoriale e percettivo che corona la visione stratificata di Terrae Aquae.
Un progetto che ci ricorda che nelle differenze vi è ricchezza e solo attraverso l’approccio collettivo dei saperi e delle esperienze possiamo comprendere la complessità di un habitat che va guardato ben oltre la sua superficie.