15 febbraio 2025

Gli italiani di Parigi: il fascino della Belle Époque arriva a Brescia nelle opere di cinque grandi pittori

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Fino al 15 giugno 2025 i dipinti di Boldini, De Nittis, Zandomeneghi, Corcos e Mancini portano a Palazzo Martinengo di Brescia gli ambienti e le atmosfere di una stagione irripetibile della capitale francese

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Giuseppe De Nittis, Sulla panchina agli Champs Elisees, 1875. Collezione privata

A Palazzo Martinengo a Brescia prende forma il secondo atto del progetto curatoriale di Davide Dotti e Francesca Dini, partito nel 2023 con una rigorosa mostra sui Macchiaioli, che ora segue le vicissitudini di cinque “italiani di Parigi”. I protagonisti sono Giovanni Boldini, Giuseppe De Nittis, Federico Zandomeneghi, Vittorio Matteo Corcos e Antonio Mancini, accomunati dalle contingenze di fine ‘800 dei Macchiaioli e del Verismo in Italia, nonché dal fatto di aver raggiunto la capitale francese in cerca di stimoli, suggestioni culturali, vita e fortuna.

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Giovanni Boldini, Ritratto della principessa Radziwill, 1910. Collezione privata

Attraverso i loro dipinti si dà luogo alla caratterizzazione storico-iconografica del mondo della Belle Époque che, dopo la disfatta di Sedan, va di pari passo con la rinascita della Francia e di Parigi in particolare, divenuta quasi capitale del mondo occidentale, sull’onda di un periodo di effervescente prosperità industriale e culturale, culminato nell’Esposizione Universale del 1889 con la messa a terra della Tour Eiffel prima delle minacce e del declino degli inizi del ventesimo secolo.

Giovanni Boldini, Berthe esce per la passeggiata, 1874, Collezione privata, courtesy Galleria Bottegantica

La prosperità si incarna nei doviziosi committenti di questi giovani pittori, promossi dal mercante Doupil, che appaiono concentrati sulla celebrazione della figura della donna in una dimensione di eleganza e complicità, segnando l’inizio del mito della moda francese che domina molti ritratti. La mostra mette a fuoco molteplici aspetti di quello che è diventato uno stile pittorico: le sezioni espositive si presentano con l’alternarsi delle tranches de vie parigine secondo le visioni dei cinque artisti, partendo dagli acuti dipinti di De Nittis che, dal temperamento macchiaiolo ebbro di luce, a contatto con la cultura francese diventa sintetico quasi orientale e impressionista in alcuni paesaggi (sulla neve, lungo il fiume), mentre coglie vivi sguardi di donna, come in Leontine che pattina, o rende la serenità di passeggiate nei giardini, come nel dipinto Accanto al laghetto dei Giardini del Lussemburgo.

Giuseppe De Nittis, Accanto al laghetto dei giardini del Lussemburgo, 1875 circa. Collezione privata, Courtesy Galleria Bottegantica

Accostato nella prima sala a De Nittis, troppo presto scomparso, Boldini esordisce con ritratti femminili, dove nuvole di piccoli tratti di colore definiscono le figure e i signorili ambienti, come in Interno con giovane donna. In successione troviamo Zandomeneghi che, passando dal periodo in cui per vivere disegna modelli di abiti, attraverso i Macchiaioli approda alla frequentazione degli impressionisti, dedicandosi più ad un coté bohemien, ad un’umana intimità quotidiana, all’emozione, ad una trattenuta sensualità, attraverso campiture sature di luce però contenuta, quasi come se non abbandonasse mai il pastello, come in Le bain o nel Café de la Nouvelle Athènes qui esposti.

Antonio Mancini, Scugnizzo con chitarra, 1877, olio su tela, 79 x 65 cm. Collezione privata

E ancora Corcos che sa cogliere ritratti veristi e psicologicamente intensi, da La pagliaccia alla Istitutrici ai Campi Elisi ai ritratti in primo piano, mentre esegue idealizzate Jolie filles, con un aplomb borghese non scevro di allusioni. Segue un Antonio Mancini di sanguigno temperamento napoletano, più verista che macchiaiolo, che rappresenta in modo emotivo ed empatico i suoi soggetti – dalle fanciulle “di genere” ai bambini – e va in controtendenza rispetto alla rappresentazione della doviziosa committenza, che pure ne diventa collezionista. I quadri qui esposti portano malia, intensità, fuoco, in un mix quasi “scapigliato” come in Autoritratto della follia e negli altri travolgenti ritratti.

Federico Zandomeneghi, Il tè, 1892 circa. Collezione privata

Prima della sezione pittorica finale, la narrazione del periodo trova uno snodo costituito dalla esposizione di ciò che produsse la Belle Époque, diffondendone lo stile negli oggetti e nei desideri, anche domestici, del tempo. Sono i vasi in vetro di Daum e Gallè, con i prodromi dei decori art nouveau, a cui seguono manichini con lussuosi abiti d’epoca, mentre i primi manifesti pubblicitari italiani, che seguono lo stile e la grafica francesi, stabiliscono l’influenza e la nascita della società dei consumi, veicolata dal mito dell’eleganza da perseguire.

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Vittorio Corcos, Messaggio d’amore, 1889, olio su tela, 109 x 71 cm. Collezione privata

Si conclude con la sala dei quadri che diedero il grande successo a Corcos e Boldini, all’inizio del XX° secolo. Corcos trova il fasto maggiore nei ritratti femminili d’ambito signorile e facoltoso, dove la autorappresentazione della committenza domina in una sorta di compostezza nobiliare, come nel Ritratto della contessa Carolina Sommaruga. Boldini si produce con ritratti frizzanti di giovani signore, con la maestria e la scaltrezza di trasformare in vitalità il tratto pittorico veloce e schizzato – ars est celare artem – avendo sempre l’accortezza di curare i volti rendendoli alla moda – affusolati col “nasino alla francese” –  come ne La passeggiata al Bois de Boulogne e nel notevole Ritratto della baronessa Radziwill.

Émile Gallé, Vaso con decoro di paesaggio dei Vosgi, 1910 circa, altezza 51 cm

La figura femminile conduce il filo rosso della mostra e si incarna in un grande quadro che ci lascia pieni di perplessità: stiamo parlando de L’emancipazione della donna di Adolfo Saporetti, che raffigura un gruppo di ragazze aggrappate l’una all’altra per timore di un topolino in basso a sinistra. La celebrazione della donna della Belle Époque sta nello sguardo degli uomini – pittori, committenti, osservatori – che decantano l’eterno femminino (nell’accezione più corrente) ostentando ironia.

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