14 aprile 2022

Il Barocco genovese è super: la mostra alle Scuderie del Quirinale

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Da Rubens ad Alessandro Magnasco, un intenso percorso nella storia, tutta da riscoprire, del Barocco genovese e delle sue influenze internazionali, tra le pieghe di una città in piena fioritura

Antoon van Dyck Paola Adorno Brignole-Sale, 1627 olio su tela 286 x 198 cm Genova, Musei di Strada Nuova- Palazzo Rosso © Musei di Strada Nuova- Palazzo Rosso

“Superbarocco. Arte a Genova da Rubens a Magnasco” è la nuova mostra in cartellone alle Scuderie del Quirinale, aperta al pubblico fino al prossimo 3 luglio. Il progetto è una coproduzione internazionale realizzata con la National Gallery di Washington, che avrebbe anche dovuto ospitare nell’autunno 2021 la prima tappa, poi forzatamente annullata a causa della drammatica evoluzione pandemica.

La sinergia che ha reso possibile lo sviluppo di questa esposizione vede coinvolta anche la Città di Genova e i suoi musei, comunali e statali, la cui partecipazione va oltre i prestiti delle opere e prevede una serie di iniziative sul territorio volte a valorizzare le personalità artistiche che – tra l’inizio del XVII e la metà del XVIII secolo – hanno contribuito a scrivere una delle pagine più intense della storia dell’arte italiana.

La mostra di Scuderie mette a fuoco il barocco genovese, emanazione artistica di un periodo in cui la città godette dell’impulso di una rinnovata egemonia politica e finanziaria ritrovata nella seconda metà del Cinquecento, ennesima riprova dell’inscindibile legame che esiste tra arte e finanza. Il denaro è sempre stato il motore dell’arte e questo aspetto è qui esplicitato dall’alto numero di committenze richieste dalle famiglie nobili genovesi per adornare chiese e palazzi della città.

Come annunciato dal titolo, la mostra ha i suoi riferimenti cronologici di inizio e fine in Pieter Paul Rubens e nello straordinario Alessandro Magnasco, le cui opere adornano l’ultima sala del percorso espositivo. Primo e ultimo capitolo di qualità superiore di un racconto che si sviluppa comunque in maniera molto intensa, e a volte sorprendente, grazie a una nutrita e vivace scuola locale cui si aggiungono gli apporti di artisti provenienti da diverse parti d’Italia e d’Europa.

Una delle prime caratteristiche riconoscibili di questo barocco, che qui viene messo bene in luce, è l’aspetto cosmopolita favorito dalla natura stessa della città, uno dei più importanti porti del Mediterraneo, luogo di mercanti per eccellenza: proprio lungo le direttrici commerciali viaggiavano opere e artisti. Ecco dunque che i riferimenti principali di questa pittura, da un punto di vista stilistico e culturale, possono essere individuati nelle aree limitrofe, e in particolare si possono riscontrare tracce dell’atmosfera classicista della pittura emiliana e, in maniera molto rilevante, l’attenzione tutta lombarda verso l’utilizzo degli effetti di chiaroscuro. Ma un aspetto del tutto peculiare è quello che vede impegnati gli artisti fiamminghi, che sulla scia di Rubens diedero impulso alla scena locale per tutto il secolo.

Una galassia di nomi più o meno noti al grande pubblico, si va dai genovesi Bernardo Strozzi, Anton Maria Vassallo, Giovanni Benedetto Castiglione ai bolognesi Marcantonio Franceschini e Alessandro Algardi, fino all’importante presenza di una vera e propria colonia di pittori fiamminghi quali Antoon van Dyck e Cornelis De Wael.
Di van Dyck sono esposti alcuni dipinti pregiati tra cui il ritratto di Paola Adorno Brignole – Sale, raffinatissima testimonianza di ciò che era richiesto agli artisti dalle famiglie più in vista della nobiltà, una sintesi tra sobrietà e celebrazione che va a connotare un barocco fastoso si, ma privato, lontano dalla monumentalità e dalla ostentazione di quello romano o dagli eccessi di quello meridionale.

Le due stelle più luminose in questa costellazione artistica sono però proprio i due nomi in cartellone. Per quanto riguarda Rubens, le due opere collocate nella prima sala, il ritratto di Giovan Carlo Doria e la pala proveniente dal Gesù di Genova con I miracoli di Sant’Ignazio, sono un benvenuto ricco di suggestione e teatralità per il visitatore. Ma è l’ultima sala, completamente dedicata a Magnasco, quella che lascia la maggiore impressione ed è sicuramente uno dei passaggi chiave di tutto il progetto espositivo, una piccola monografica che da sola varrebbe la visita: epilogo un po’ inaspettato di una stagione che si è sviluppata su tutt’altre caratteristiche.

Il pittore genovese è uno straordinario outsider, distante dalla narrativa della nobiltà della sua città ma un affamato sperimentatore che viaggia molto, Milano, Firenze, Venezia e che ottiene due fondamentali risultati: da una parte si accosta a un certo tipo di pittura cupa e visionaria fatta di personaggi secondari della storia come le persone comuni, soldati, vagabondi, frati eremiti, zingari, spesso avvolti da una natura incombente e minacciosa. Il secondo, molto moderno, è quello di anticipare sviluppi stilistici che poi, seppur su altre impostazioni teoriche, rivoluzioneranno l’Ottocento: pennellate sempre più rapide e grumose che smaterializzano la figura. Solo facendo un passo indietro, l’immagine riacquisterà la sua squisita definizione.

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