19 febbraio 2020

L’arazzo ritrovato di Raffaello, da Roma a Rio De Janeiro

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A Roma, nelle sale di Palazzo Poli, in mostra l’arazzo ritrovato di Raffaello, dalla collezione di Roberto Bilotti Ruggi d’Aragona. Che ci racconta la sua storia

Foto di Damiano Fianco

Dal 17 febbraio e per una settimana, la Cappella Sistina espone eccezionalmente dopo 35 anni i dieci arazzi di Raffaello, dai Musei Vaticani dove sono custoditi. Una settimana espositiva che celebra il cinquecentenario della morte dell’artista universale, con il ritorno nel luogo dove sono stati concepiti mezzo millennio fa. La serie era stata commissionata da Leone X, il papa umanista, figlio di Lorenzo il Magnifico, considerata la manifestazione artistica più sfarzosa e raffinata del tempo, con ricco e innovativo repertorio iconografico, costata cinque volte di più degli affreschi di Michelangelo. Oggi è il giorno di un altro arazzo di Raffaello. Sempre a Roma, dal 18 febbraio, nelle sale di Palazzo Poli, sede dell’Istituto Nazionale per la Grafica, può essere infatti ammirato dal pubblico l’arazzo Anania e Saphira, episodio tratto dagli Atti degli Apostoli (5,1 -11).

L’arazzo fa parte di collezione privata, quella di Roberto Bilotti Ruggi d’Aragona. Un’opera di notevole importanza storico-culturale di cui si stanno occupando i maggiori studiosi di arazzi da tutto il mondo. Per saperne di più ne abbiamo parlato con lo stesso Roberto Bilotti Ruggi d’Aragona.

L’arazzo ritrovato: la storia di Roberto Bilotti Ruggi d’Aragona

Qual è la storia dell’arazzo ritrovato di Raffaello? Come arriva nella tua collezione?
«L’Anno Sanzio è stato anche l’occasione di studio e approfondimento delle sue opere. Ho sempre saputo che l’arazzo Ananias et Saphira, proveniente dai Conti de la Celle, ramo francese della mia famiglia, era di derivazione raffaellesca. Anna Maria de Strobel e Cecilia Mazzetti, autrici di Leone X e Raffaello in Sistina, gli arazzi degli Atti degli Apostoli lo hanno ora inquadrato scientificamente e storicamente, riconducendo la sua realizzazione alla manifattura di Enrico Mattens, della cui serie si conosceva solo la Lapidazione di santo Stefano, nel castello du Plessis-Bourrè, ad Angers.
Le varie serie di arazzi derivano dai cartoni realizzati sulla base dei disegni prodotti dal genio raffaellesco custoditi al Victoria and Albert Museum di Londra. Da questi “bozzettoni” i cartonisti preparano più versioni con alcune varianti che venivano affidate agli arazzieri per essere tradotti, varianti funzionali alla tessitura alla quale venivano sacrificati e poi andavano perduti.
L’arazzo della mia collezione presenta affinità con la serie nella cattedrale di Tolosa.

Il tuo arazzo rimarrà esposto a Roma. Per quanto tempo?
«Per una settimana. Successivamente sarà in mostra a Loreto, Verona, Palermo, Londra e Rio de Janeiro, per tutto l’Anno Sanzio e in Calabria a rievocare il ruolo della Regione con Raffaello. Infatti il Cardinale Luigi d’Aragona, figlio del marchese di Gerace, ne aveva seguito la tessitura dei primi sette a Bruxelles che giunsero in Vaticano nel 1519.
Ci tengo a ricordare che l’esposizione è stata sostenuta Artifex e da Damiano Fianco per Progetto Arte Poli srl, che si occupa da decenni di recuperare opere d’arte del passato, e di realizzarne di nuove sulla scia della grande tradizione artistica cristiana».

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