01 luglio 2025

Musei Vaticani: la Sala di Costantino rinasce e c’è anche la mano di Raffaello

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I Musei Vaticani presentano il completamento di un decennale progetto di restauro e conservazione con una scoperta: c’è la mano di Raffaello anche nella Sala di Costantino

Sala di Costantino

Certe stanze fanno rumore anche da vuote. La Sala di Costantino è una di quelle. Non solo perché è la più grande del ciclo di Raffaello nei Palazzi Vaticani, ma perché è una di quelle architetture-dipinte che non si limitano a “ospitare” arte: sono arte che fa politica, che racconta, che inscena. E oggi, a lavori conclusi, torna visibile – e soprattutto leggibile – con occhi nuovi.

Sala di Costantino

Dieci anni di interventi, decine di mani coinvolte, centinaia di giornate di studio, diagnosi, scansioni laser, riflettografie, microscopi, pennelli. E un’idea chiara: non “rifare” la Sala, ma capirla, liberarla, rimetterla in circolo. Il restauro, completato nel dicembre 2024, è stato presentato con l’avvicinarsi del Giubileo, ma ha poco del gesto cerimoniale: è piuttosto una presa di posizione. La Sala di Costantino torna non per essere contemplata, ma per essere interrogata. È un oggetto complesso, una narrazione a strati, un teatro che si riaccende.

Sala di Costantino

Al centro, naturalmente, lui: Raffaello. O meglio, quello che resta di Raffaello – due figure a olio su muro, la Comitas e la Iustitia – e tutto ciò che da lui si è generato. Perché questa sala è anche il racconto di una successione, di una bottega che si organizza, di un’eredità che si trasforma in linguaggio. Giulio Romano e Giovan Francesco Penni completano le pareti con episodi monumentali: Visione della Croce, Battaglia di Ponte Milvio, Battesimo di Costantino, Donazione di Roma. Tutto al servizio di un messaggio chiarissimo: la Chiesa ha il diritto di governare, e Costantino è il santo patrono di questa legittimità. La pittura non decora, costruisce un’ideologia.

Poi arriva Tommaso Laureti, un secolo dopo. Sulla volta, dipinge un Trionfo del cristianesimo sul paganesimo che sembra uscito da un sogno geometrico: un finto arazzo, una macchina prospettica che sfida la fisica e chi guarda. È un pezzo di teatro manierista in piena regola, dove il disegno diventa architettura mentale e il soffitto si fa labirinto visivo. Troppo moderno per i suoi tempi, oggi trova finalmente lo sguardo che merita.

Sala di Costantino

A coordinare l’operazione c’è Barbara Jatta, direttrice dei Musei Vaticani, che ha seguito il progetto passo dopo passo. La sua visione è chiara: far convivere la tradizione con l’innovazione, conservare senza imbalsamare. In un’epoca in cui i musei rischiano di somigliare a templi del “già visto”, lei preferisce pensare al museo come a un luogo che fa domande. E il restauro della Sala di Costantino ne pone molte, anche scomode: su cosa significhi “guardare” un’opera, su come il potere si rappresenti, su quale sia il ruolo dell’arte nel raccontare (o riscrivere) la storia.

Accanto a lei, una squadra solida: Fabio Piacentini e Francesca Persegati alla guida del restauro pittorico, Fabio Morresi con il suo team di diagnostica che ha “scansionato” la sala come se fosse un campo archeologico. Riflettografie a infrarossi, fluorescenze UV, analisi stratigrafiche, modelli 3D. La pittura è stata letta come un testo, strato per strato, senza scorciatoie. Il risultato? Non un lifting ma una rivelazione.

Sala di Costantino

E non è finita qui. Perché a rendere tutto questo ancora più interessante è il fatto che la sala non si chiude nel suo passato. Non è un santuario, non è una capsula temporale. È un campo di forza. Fabrizio Biferali, curatore del reparto arte del Quattro e Cinquecento, lo dice chiaramente: la Sala di Costantino racconta un secolo intero, con i suoi papati, le sue crisi, le sue scelte politiche. Dall’umanesimo di Leone X alla Controriforma di Sisto V, passando per le inquietudini del Concilio di Trento. Le immagini non sono “belle”: sono necessarie. Sono lì per dire qualcosa, a chi le guarda oggi come a chi le guardava allora.

Sala di Costantino

E oggi chi le guarda non è più un cardinale o un ambasciatore. È chiunque. Studenti, turisti, curiosi, credenti, appassionati d’arte. E questo cambia tutto. Perché quello che questa sala offre, ora più che mai, è un’esperienza: di bellezza, certo, ma anche di complessità. Guardarla significa entrare in una rete di significati. Significa accettare che un’immagine possa non essere immediata, che un volto possa nascondere una dottrina, che una pennellata possa costruire un’idea di potere.

Sala di Costantino

La Sala di Costantino non è più, e forse non è mai stata, solo “la più grande tra le Stanze di Raffaello”. È un’opera-mondo. E oggi, restaurata, illuminata, interrogata, è pronta per un nuovo atto. Con tutta la sua stratificazione, i suoi fantasmi, le sue contraddizioni.

E magari è proprio questo che oggi ci serve: un luogo che non semplifica, ma complica. Un’opera che non consola, ma mette in crisi. Un affresco che, mentre ci racconta il passato, ci ricorda che il presente – come la pittura – è sempre questione di strati, di letture, di punti di vista.

Sala di Costantino

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