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Quel Crocifisso è di Donatello: un restauro conferma la scoperta
Arte antica
Il capo lievemente reclinato tipico del Christus patiens, il volto composto in un dolore contenuto, la delicata policromia dai tratti pittorici, il perfetto modellato dell’anatomia del corpo. Ebbene sì, quel Crocifisso ligneo che si celava nella chiesa fiorentina di Sant’Angelo a Legnaia non è l’anonima opera di un artista qualunque, bensì un Donatello: a confermare la scoperta, un’accurato restauro curato da Silvia Bensi. Il capolavoro fu ritrovato quasi per caso, nel 2013, da Gianluca Amato, dottorando dell’Università degli Studi di Napoli Federico II, nell’ambito delle verifiche collaterali alla stesura della tesi, dedicata allo studio dei Crocifissi lignei toscani fra tardo Duecento e prima metà del Cinquecento.
Il Cristo Crocifisso di Legnaia non è di grandi dimensioni: è alto 89 centimetri e largo (alle braccia distese) poco più di 82 per soli 3,3 chilogrammi di peso (croce – non originale – esclusa). Una leggerezza resa possibile non soltanto dall’utilizzo di un legno “light” come il pioppo, ma anche per la presenza di parti interne svuotate. La ragione è pratica: si trattava di un Crocifisso processionale, reso “maneggevole” proprio per essere portato al cospetto dei fedeli e condotto lungo le vie del piccolo borgo. Scolpito in tre masselli a costituire il corpo e gli arti superiori, è giunto fino a noi nella sua struttura lignea originaria, sostanzialmente ben conservata a eccezione dell’elaborazione plastica della testa, anticamente completata da un rivestimento in gesso modellato andato perduto, e delle estremità inferiori delle ciocche di capelli.

Le analisi dei materiali e delle tecniche di esecuzione e la comparazione dei dati stilistici ed
espressivi hanno consentito ad Amato di ricostruire le vicende artistiche del Crocifisso e ricondurre la sua paternità all’attività estrema di Donatello, confermando la scoperta e assegnandolo a un periodo tra il 1461 e il 1466 circa.
«A Legnaia – ha spiegato lo studioso – l’artista riaffronta il tema del Crocifisso con attitudine mutata rispetto ai suoi monumentali esempi precedenti, vale a dire l’esemplare ligneo in Santa Croce a Firenze, sua opera giovanile, e i due testimoni, in legno e in bronzo, rispettivamente nella Chiesa di Santa Maria dei Servi e nella Basilica di Sant’Antonio a Padova. Molti aspetti dell’intaglio di Legnaia offrono riscontri stringenti con l’Oloferne del gruppo mediceo della Giuditta (Firenze, Palazzo Vecchio, Sala dei Gigli). A ciò si aggiungono le similitudini tra il perizoma, modellato in tela imbevuta di colla e di gesso, e le intense modulazioni del copioso panneggio della Giuditta».

Sul grado di finitura dell’opera, aggiunge Amato, sembrano aver influito le vicende personali dell’anziano scultore, che dalla fine del sesto decennio del Quattrocento fu oberato da numerose commissioni che non sempre fu in grado di portare a termine. “L’inedito Crocifisso – conclude lo storico dell’arte – rappresenta, pertanto, un’opera realizzata da Donatello nell’ultimo periodo della sua vita. Alla fase conclusiva della lavorazione risale la ritrovata policromia originale, paragonabile, a livello concettuale, alle stesure di pittori fiorentini culturalmente affini a Neri di Bicci”.
Il Crocifisso, ricollocato nella sua sede originaria, l’Oratorio della Compagnia di Sant’Agostino, è stato restituito alla sua antica funzione liturgica e soprattutto riconsegnato alla comunità che ne ha avuto cura per molti secoli.
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Bellissimo articolo e bellissima scoperta! Quanta ricchezza abbiamo ancora nascosta…