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La mostra “Theatre of Operations: The Gulf Wars 1991-2011” si sta trasformando in una Waterloo per il MOMA PS1. Il museo di New York, dopo essere entrato in conflitto con Michael Rakowitz, deve affrontare un fronte compatto di 31 artisti, che hanno firmato una lettera in cui si chiedono spiegazioni e, soprattutto, provvedimenti, in merito alle filantropia tossica e alle dubbie relazioni intessute dai membri del board del MOMA PS1, colpevoli di investire in società dalla dubbia moralità, impegnate nel settore degli istituti di detenzione privati e dei contractors.
La pausa di Michael Rakowitz
Laurence Fink, membro del board del museo di New York, è anche CEO di BlackRock, la più grande società di investimenti al mondo, il cui nome è già di per sé un po’ inquietante, anche senza considerare gli investimenti in società dedite alla vendita di armi e all’amministrazione di prigioni private, come la Fidelity Investments. C’è poi Leon David Black, collezionista e presidente del MoMA, oltre che fondatore della società Apollo Global Management la quale, a sua volta, ha investito nella Constellis, società che offre «servizi di gestione del rischio», vale a dire contractors, cioè compagnie di militari prezzolati che spesso operano al di fuori del diritto bellico internazionale.
Venuto a sapere di questa storia, Rakowitz ha deciso di prendere posizione e lo ha fatto a modo suo: mettendo in pausa il video esposto in mostra. Un atto non solo di protesta ma anche insito nella natura processuale dell’opera, visto che si tratta di un video tratto da Return, lavoro iniziato nel 2004 – che prevede la riapertura del negozio di famiglia di import-export – e tutt’ora in corso.
Rakowitz ha fatto notare, con molta sensatezza, che a lasciare un museo non dovrebbe essere un artista ma persone la cui condotta di vita, alla prova dei fatti, entra apertamente in contrasto con gli atteggiamenti di apertura, dialogo, sincerità, armonia, propri di un’istituzione di tal genere. Ma il MOMA PS1 ha premuto di nuovo play. Contraddicendo non solo il legittimo messaggio di protesta dell’autore dell’opera ma anche intervenendo in maniera lampante nel processo di costruzione dell’opera. Insomma, come se avesse lanciato un secchio di vernice su un quadro di Jackson Pollock. Strano che in un museo di questo livello sia stata avallata una decisione così ingenua.
La lettera dei 31 artisti al MOMA e al PS1
Chiaramente il colpo basso del MOMA PS1 non è passato inosservato e adesso 31 artisti coinvolti nella mostra hanno espresso il loro sostegno alla decisione di Rakowitz e dell’artista britannico Phil Collins, che però ritirò la sua opera, Baghdad Screentests, prima dell’apertura della mostra ma per gli stessi casi di filantropia tossica.
«La guerra in Iraq non è finita nel 2011: è in corso. Negli ultimi mesi ci sono state proteste a livello nazionale contro le interferenze straniere e la corruzione, introdotta attraverso l’invasione e l’occupazione guidata dagli Stati Uniti. Le forze di sicurezza hanno ucciso più di 400 manifestanti pacifici da quando sono scesi in piazza nell’ottobre 2019. Ma questa guerra è stata invisibile e lontana dall’attenzione e dalle preoccupazioni della maggior parte degli americani. Apprezziamo la visibilità che questa mostra offre alle guerre in Iraq e al lavoro degli artisti iracheni. Tuttavia desideriamo anche rendere visibile la connessione tra il MOMA e i fondi generati da compagnie e società che traggono direttamente profitto da queste guerre», si legge nella lettera, firmata tra gli altri da Dia al-Azzawi, Ali Eyal, Guerrilla Girls, Laura Poitras, Ali Eyal, Martha Rosler e Mona Hatoum. Il testo è stato inviato a Glenn Lowry e Kate Fowle, direttori del MoMA e del MoMA PS1.
«Il PS1 ha una storia importante come primo centro artistico senza scopo di lucro negli Stati Uniti dedicato esclusivamente all’arte contemporanea e il suo impegno dichiarato è mostrare l’arte, le idee e le questioni più radicali del nostro tempo. Eppure, quasi venti anni fa, il centro è stato affiliato al MOMA. Riconosciamo che il PS1 ha un consiglio di amministrazione separato da quello del MOMA ma Leon Black fa comunque parte del consiglio di amministrazione della PS1 a titolo d’ufficio», prosegue la lettera. «Chiediamo a PS1 di sostenere la sua missione dichiarata e, insieme al MOMA, di assumere una posizione veramente radicale, allontanando eventuali fiduciari e fonti di finanziamento che traggono profitto dalla sofferenza altrui».
Insomma, dopo il caso delle proteste di Nan Goldin contro la casa farmaceutica Purdue Pharma e la famiglia Sackler, che ha travolto musei come il Louvre e il Victoria & Albert, sembra proprio che per i musei sia venuto il momento di fare luce anche sui propri aspetti meno visibili.