02 luglio 2025

Biennale Venezia 2026, Khaled Sabsabi riammesso al Padiglione Australia

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Dopo mesi di polemiche e pressioni internazionali, Creative Australia reintegra l’artista Khaled Sabsabi e il curatore Michael Dagostino per il Padiglione nazionale alla Biennale di Venezia 2026

L’artista libanese-australiano Khaled Sabsabi e il curatore Michael Dagostino sono stati riammessi al Padiglione Australia della prossima Biennale d’Arte di Venezia, dopo essere stati clamorosamente rimossi a febbraio 2025, a pochi giorni dall’annuncio ufficiale della loro nomina. Una decisione che arriva in seguito a una revisione indipendente, promossa per fare chiarezza su una revoca tanto improvvisa quanto significativa, come un caso emblematico delle tensioni crescenti tra espressione artistica e pressioni politico-mediatiche.

Arte sotto attacco: il contesto

A innescare la controversia erano stati infatti due lavori dell’artista risalenti a quasi 20 anni fa: Thank You Very Much (2006), che montava immagini degli attacchi dell’11 settembre con dichiarazioni di George W. Bush in un’opera di critica alla brutalità della guerra, e You (2007), video che includeva un discorso del leader di Hezbollah Hassan Nasrallah, parte di una riflessione sulla guerra del Libano del 2006. Opere complesse e politicamente connotate, che riflettevano l’esperienza diasporica e le tensioni identitarie di un artista nato a Tripoli e cresciuto in Australia.

La loro rimozione, giustificata da Creative Australia – l’ente che coordina la partecipazione dell’Australia alla Biennale di Venezia – con la volontà di evitare un «Dibattito divisivo», è apparsa fin da subito come un atto di censura preventiva. Il Ministro della Cultura Tony Burke, che inizialmente aveva espresso perplessità sulle opere, ha poi riconosciuto che la situazione era stata gestita male e che mancava un’adeguata valutazione critica del lavoro dell’artista.

Una decisione che ha scosso il mondo dell’arte

La revoca scatenò un’ondata di proteste a livello nazionale e internazionale. Petizioni, lettere aperte, dimissioni illustri – tra cui quella del filantropo Simon Mordant da ambasciatore per la Biennale – hanno messo in crisi la reputazione dell’ente australiano. Il report condotto da Blackhall & Pearl ha evidenziato come non ci sia stato un singolo errore ma una catena di incertezze, di lacune organizzative e di mancanza di strategie di gestione del rischio. Sembra paradossale – e forse lo è –ma la ratio alla base dell’esclusione sarebbe stata proprio quella di proteggere l’autonomia dell’arte dalle influenze esterne. Il risultato è stato l’opposto.

Il reintegro e la necessità di un risarcimento simbolico

Il reintegro del progetto di Khaled Sabsabi e Dagostino per il Padiglione Australia rappresenta un primo passo, se non per riparare il danno, almeno per avere consapevolezza. «Accettiamo con gratitudine questa rinnovata fiducia», hanno dichiarato, sottolineando come questa vicenda abbia lasciato degli strascichi nella carriera professionale dell’artista ma abbia comunque contribuito a creare rete: «Non saremmo arrivati a questo punto senza il sostegno incondizionato della comunità creativa australiana e internazionale».

Anche Simon Mordant ha annunciato il suo ritorno nel ruolo, mentre Creative Australia, per voce del CEO Adrian Collette, ha chiesto pubblicamente scusa: «Abbiamo imparato da quanto accaduto. Il nostro obiettivo adesso è ricostruire la fiducia».

L’episodio arriva in un clima culturale di radicalizzazione attorno ai temi geopolitici, segnato da nuove forme di censura e autocensura spesso legate al conflitto tra Israele e Palestina. La Biennale di Venezia stessa, che nel 2024 aveva presentato le porte chiuse del Padiglione Israele, è diventata un terreno simbolico di scontro tra diplomazia, opinione pubblica e libertà di espressione. E forse sarà nuovamente a Venezia, nel 2026, che questo confronto troverà un’ulteriore scena.

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