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Cattelan? Ha potenziato l’HangarBicocca, sfidando Kiefer
Arte contemporanea
di Carlo Vanoni
La mostra di Maurizio Cattelan all’Hangar Bicocca non è una mostra. E neppure un’installazione.
È il completamento di uno spazio che d’ora in poi non potrà più fare a meno di quelle presenze.
Dentro l’archeologia industriale che nel secolo scorso partoriva carrozze ferroviarie, locomotive elettriche e a vapore, caldaie e macchine agricole, in un pomeriggio di luglio sono improvvisamente comparsi i piccioni.
Allineati a migliaia su controventi e arcarecci, immobili lungo le pareti nere della navata e semi nascosti nella penombra, i nuovi inquilini si sono appropriati di quello spazio come se in un passato remoto gli fosse stato sottratto.
Illuminati da Pasquale Mari, direttore di una fotografia che li disvela nel loro crescendo, i piccioni si moltiplicano a mano a mano che ci si inoltra nella selva oscura, interrotta soltanto da infelici ma incolpevoli luci rosse e verdi a segnalare uscite di sicurezza e idranti. Perfetta e misurata, protagonista senza essere prima donna, qui la luce è sinfonia di riflettori che non accecano ma svelano, trasformando i piccioni in note musicali sul pentagramma dei tralicci.
No, quei piccioni non sono gli stessi della Biennale veneziana del 2011.
Confonderli, significa non capire la differenza.
Allo stesso modo in cui le automobili nervose del traffico metropolitano sembrano identiche a quelle che in certe giornate di primavera sfilano lungo la costiera amalfitana, anche i piccioni di Cattelan appaiono gli stessi pur essendo radicalmente diversi. I piccioni veneziani erano turisti sui ponti delle navi da crociera che salutano dal Canale della Giudecca; i piccioni milanesi sono anime di operai (Ghosts, appunto) di ritorno sul posto di lavoro dove un tempo si assemblavano macchine per il progresso.
Nell’ultima parte dell’Hangar, quella laggiù in fondo battezzata il “Cubo” dagli architetti, Cattelan ha posizionato il monolite di resina nera alto 18 metri con la sagoma di un aereo conficcata nella parte superiore.
A guardarlo bene, quel monolite nero (Blind) è così potente che sembra nato prima dell’Hangar stesso, e che tutto il resto gli sia stato costruito intorno. (Le opere d’arte, quando sono potenti, sembrano nate prima dello spazio che le accoglie).
Dall’altra parte del Cubo, prima della lunghissima navata riempita di piccioni, ad accogliere il visitatore entrante ci sono un uomo e un cane, entrambi in marmo, entrambi sdraiati e dormienti (Breath), entrambi illuminati da un sagomatore nascosto
Uomo, cane, piccioni, monolite, aereo, complice la qualità dell’illuminazione, escono dall’ambito dell’effimero e compenetrano gli spazi. Una sorta di risposta italiana ai Sette Palazzi Celesti di Anselm Kiefer della navata adiacente.
Allo stesso modo in cui le torri di Kiefer avevano benignamente convissuto con un centro vaccinale, ci piace immaginare che anche i piccioni, l’uomo e il cane, il monolite e l’aereo si adegueranno alle future mostre senza minimamente disturbare gli allestimenti.
Si spegneranno le luci. E i piccioni dormiranno.
Si sposteranno i marmi con uomo e cane dormienti. E loro non protesteranno.
Si lascerà il monolite al centro del Cubo con la volta a botte. E i nuovi inquilini artisti si adatteranno.
Non c’era nessuno, in Italia, in grado di competere con il Tedesco celestiale della navata accanto.
Nessuno, tra i contemporanei, ha una visione così monumentale.
Ci voleva Maurizio Cattelan. Il dispettoso, dissacratore, surreale, poetico, divertente Cattelan, un po’ Fellini e Mastroianni, un po’ Totò e Gian Burrasca.
Ci voleva la sua sensibilità intelligente per trasformare l’Hangar Bicocca da spazio espositivo a monumento permanente.
Cattelan coraggioso artista di livello internazionale, orgoglio italiano… chi ama l’arte non può che volergli bene.
[…] rinsaldare il profondissimo rapporto di Cattelan con Milano – dopo la mostra al Pirelli HangarBicocca – anche un’altra installazione, in esposizione presso Casa Corbellini-Wassermann, spazio […]