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Maurizio Cattelan. Vero o falso, dalla A alla Z
Arte contemporanea
di redazione
In occasione della mostra di Maurizio Cattelan a Pirelli HangarBicocca, “Breath Ghosts Blind”, ci siamo interrogati sui temi e sulla poetica dell’artista italiano vivente più celebre al mondo. Un ritratto fatto a modo nostro, interrogando i curatori Roberta Tenconi e Vicente Todolí attraverso una serie di parole, dalla A alla Z, che riconducono alla precisa “anti-disciplina” del pensionato dell’arte contemporanea. E che ripercorrono trent’anni di opere e carriera.
ALTER-EGO
Uno, nessuno, centomila, diceva Pirandello. Non esiste uno ma tanti Maurizio Cattelan, almeno tanti quanti i sui autoritratti, i corpi in cui si è sdoppiato o le figure di animali a cui di riflesso ha associato sentimenti umani. Uno dei primi è l’asino, vivo e vegeto, che ha messo al centro di una stanza nella sua prima mostra a New York, nella galleria di Daniel Newburg nel 1994. Si sentiva inadatto – un asino appunto – ma non era solo un stato mentale, era anche un omaggio a tanti altri compagni che prima di lui si erano cimentati in questo dialogo silenzioso, da Jannis Kounellis con i cavalli, a Joseph Beuys con un coyote, e poi anche un avvertimento al pubblico: Warning! Enter at your own risk. Do not touch, do not feed, no smoking, no photographs, no dogs, thank you., 1994
BANANA
Andy Warhol e i Velvet Underground, una gag slapstick, vanitas e natura morta contemporanea, “going bananas”, ovvero andare fuori di testa, disordine pubblico, la donazione alla collezione del Guggenheim, il valore e la natura dell’arte, il gallerista scocciato al muro nello stesso modo anni prima… si è parlato di tutto a proposito della banana appesa da Maurizio Cattelan con del nastro adesivo grigio a un muro dello stand della galleria Perrotin ad ArtBasel Miami lo scorso dicembre. In pochi però hanno parlato del titolo, la commedia umana. Comedian, 2020
CAZZATA
Sarebbe da chiedere a Emmanuel Perrotin cos’ha provato a indossare il costume da coniglio rosa, che di fatto aveva le sembianze di un gigantesco pene, con cui doveva accogliere, saltellando, tutti i visitatori che entravano a vedere la mostra di Maurizio Cattelan nella sua galleria a Parigi. Qualcuno, ricordando la fama di playboy di Perrotin, parlò di una nuova forma di verità o di un “re messo a nudo”; ma soprattutto si trattata di una dinamica di potere capovolta. Errotin, Le vrai lapin, 1995
DIMENSIONI
L’arte non è certo una questione di dimensioni o di numeri. Dall’opera senza titolo e più minuta di Maurizio Cattelan, una minuscola formica che fa il gesto dell’ombrello a chi si avvicina per guardarla presentata in una sala enorme alla Biennale di Gwangjiu (Untitled, 1995), alla più estesa, una gigantesca versione a forma di croce della bandiera del Regno Unito trasformata in un tappeto da calpestare nel cortile della magione in cui nacque Winston Churchill, il senso non cambia: le opere di Maurizio Cattelan riflettono sulle nostre insicurezze e sul mondo in cui viviamo. Victory is Not an Option, 2019
EFFIMERO
Nel 1999, in un momento in cui esplode il fenomeno delle biennali, Maurizio Cattelan decide di organizzarne una ai Caraibi: “Ci sono eventi ai quali nessuno dà alcun peso, e che scompaiono o si dimenticano proprio perché non ci sono testimoni, come il famoso albero che cade da solo nella foresta e nessuno se ne accorge. Con la Biennale dei Caraibi ho cercato di invertire le parti: c’erano i testimoni, c’erano tutte le prove, mentre il fatto in sé, la Biennale vera e propria, passava in secondo piano. Non si trattava quindi di rendere visibile il nulla, quanto piuttosto di continuare a essere nulla, pur essendo visibili”. 6th Caribbean Biennial, 1999
FACILE
Il lavoro di Maurizio Cattelan è tutt’altro che facile, anzi, invita a diffidare di tutto ciò che appare chiaro e univoco: “Le immagini che mi interessano di più – dice in occasione del conferimento della laurea honoris causa in Sociologia all’Università di Trento, il 30 marzo 2004 – sono quelle che non capisco. O meglio, quelle che sembrano contenere in sé una molteplicità infinita di significati”.
GIOVINEZZA
La rivoluzione siamo noi, 2000, è un autoritratto di Maurizio Cattelan appeso a un attaccapanni. Il titolo si riferisce all’omonimo manifesto di Joseph Beuys e alla sua idea di arte come “strumento di trasformazione”. La versione di Cattelan però è ambigua e tormentata, sembra aver perso l’impeto e le aspettative tipiche della giovinezza: l’artista qui sembra incapace di partecipare a una rivoluzione ed esprime tutta la sua impotenza.
HOTEL
Purtroppo Maurizio Cattelan non è mai stato al One Hotel di Alighiero Boetti a Kabul, il mitico albergo con una sola stanza. Si sono però conosciuti, alla Biennale di Venezia del 1990, dove Boetti aggiunse a penna un nuovo truismo, “non scrivere mai cazzate”, a un poster di Jenny Holzer e lo regalò a Cattelan, allora un giovane artista. Tra i doni che gli ha lasciato figurano anche l’idea di collaborazione e quella di compiere un gesto artistico senza definirlo tale.
IDENTIKIT
Un identikit di Maurizio Cattelan esiste già: in Super Us, 1992, l’artista ha chiesto a disegnatori professionisti che lavorano con la polizia di eseguire il suo ritratto sulla base delle descrizioni fatte da amici e conoscenti. Ne è risultato un caleidoscopio di volti, tutti diversi ma ciascuno a suo modo vero.
LE DICTATEUR
Him, 2001, è una delle opere più destabilizzanti di Maurizio Cattelan: la figura di Hitler, inginocchiato e vestito da scolaretto, è al centro di una riflessione sul male assoluto e sul potere. “Rappresenta la parte negativa di noi stessi, la possibilità del male, ma parla anche dell’altra metà, capace di opporsi al male. Ognuno di noi porta dentro di se’ sia il bene sia il male. Il risultato di quello che siamo è una scelta.”
MORTE
Il tema della morte è il filo rosso che lega molte delle opere di Maurizio Cattelan, dagli esordi a oggi, dal suicidio del piccolo scoiattolo in Bidibidobidiboo, 1996, in avanti. È stato anche il soggetto di intere mostre, come quella alla Kunsthaus di Bregenz nel 2008. Lì ha presentato All, 2007, un’opera epica che evocava la morte e il senso di perdita, senza però mostrarla: 9 corpi scolpiti in marmo, distesi a terra e coperti da un lenzuolo che lascia i volti irriconoscibili e quindi anonimi. Un monumento a tutte le morti senza nome.
NEW YORK
La Grande Mela è la seconda casa di Maurizio Cattelan dal 1993. È lì che è maturato il suo lavoro, anche se per anni, dopo la mostra con l’asino da Daniel Newburg, nessuno gli ha offerto una mostra in città mentre lui esponeva in Europa. Ed è a New York che l’artista ha finalmente accettato un invito a una mostra retrospettiva: l’ha fatta però a suo modo, appendendo tutti i suoi lavori nella rotonda del Guggenheim, scardinando così qualsiasi gerarchia e, anzi, trasformandoli in un’unica grande opera. “All”, mostra, Solomon R. Guggenheim Museum, 2011-12
OCCULTO
È l’aggettivo ambiguo, più che occulto, che si addice al lavoro di Maurizio Cattelan. Di occulto però c’è — come a suo tempo fece Marcel Duchamp — il lavoro che l’artista ha silenziosamente portato avanti nonostante la dichiarazione rilasciata in occasione della mostra al Guggenheim di volersi ritirare e smettere di lavorare. “The End” era appunto inciso sulla lapide con cui si fa fotografare e che sceglie come immagine a chiusura del catalogo. Naturalmente questo annuncio era un gesto artistico e Cattelan torna a far sentire la sua voce sempre al Guggenheim, con America, 2016: un water d’oro perfettamente funzionante, installato nel museo e utilizzabile da chiunque, un’azione totalmente democratica proprio in un momento di grandi tensioni e differenze sociali nel paese.
PAPA
Maurizio Cattelan suggella la chiusura del Millennio con un’opera che condensa in un’unica complessa immagine l’idea di sacralità ma anche di fragilità e sofferenza. Il suo è un Papa caduto a terra, colpito da un meteorite, vulnerabile, forse anche stanco, non certo seduto su un trono a dispensare potere. La Nona Ora, 1999
QUADRO
Di quadri Maurizio Cattelan ne ha fatti ben pochi, nonostante tutte le sue opere partano sempre da un’immagine, una visione bidimensionale. Cattelan è un autodidatta, non si è formato in una scuola d’arte ma piuttosto guardando in modo onnivoro l’arte e la società in cui viviamo. E se deve dipingere qualcosa lo fa fare ad altri, come nel caso della sua Cappella Sistina, Untitled, 2018, una riproduzione fedele dell’originale, in scala 1:6, perfettamente accessibile e a misura d’uomo, commissionata ad un abile illustratore cinese: un’epopea della storia dell’umanità dalla creazione alla fine del mondo, presentata dall’artista a Shanghai, in una mostra collettiva da lui curata, intitolata “The Artist Is Present”, che metteva in discussione il tema dell’originalità.
RELIGIONE
Maurizio Cattelan è nato a Padova, la città di Sant’Antonio e di Toni Negri: a casa sua si leggeva “Famiglia Cristiana”, ma lui non è mai stato per nessuna ideologia, politica o religiosa che fosse. La società e la cultura che lo circonda però lo hanno sempre interessato e il suo lavoro è costellato di soggetti e riferimenti all’iconografia classica, storica quanto sacra. Ave Maria, 2007, mette insieme tutto questo: il saluto degli Orazi, quello romano, il culto mariano e una benedizione.
SESSO
Il sesso non è un tema presente nelle opere di Maurizio Cattelan. Quando gli è stato commissionato il ritratto della modella Stéphanie Seymour dal marito Peter Brant, è andato sul classico e ne ha mostrato il corpo nudo e sensuale, facendone una novella Paolina. Si è però fermato al busto e non l’ha messo su un piedistallo: protende dal muro, come fosse la polena di una nave, oppure un trofeo di caccia. Stephanie, 2003
TOILET PAPER
Toilet Paper è solo l’ultimo di una serie di attività che potremmo definire collaterali, che vedono Maurizio Cattelan impegnato su più fronti tra editing e regia di progetti editoriali, shooting fotografici, curatela di mostre o di una linea di oggetti per la casa, produzione cinematografica o il supporto a giovani artisti, quasi a voler creare un “intero sistema di comunicazione”. Quello che accomuna Toilet Paper ma anche Permanent Food, Charlie, Family Business, Made in Catteland, The Wrong Gallery e via dicendo, è il fatto che sono tutte operazione corali e collettive.
UNTITLED
I titoli per Maurizio Cattelan sono importanti, essenziali. Arrivano sempre dopo l’immagine iniziale e la realizzazione dell’opera e aggiungono sempre un nuovo livello di riflessione o chiave di lettura per il lavoro. Quando però non trova quello giusto, o semplicemente non funzionano il dialogo tra ciò che vediamo e il suo nome, allora meglio non metterlo. Senza titolo.
VITA
Più che risposte, i lavori di Maurizio Cattelan pongono domande e in questo caso, il miglior commento è il titolo scelto per la sua mostra alla Menil Collection, a Houston, in Texas, nel 2010: “Is there Life before Death?”
ZORRO
L’emblema del giustiziere e più abile spadaccino del west era una grossa zeta fatta brandendo la lama. Anche Maurizio Cattelan con le sue opere sferra colpi e scardina le strutture di potere: una volta si è addirittura firmato con la zeta, ma mascherato dall’artista italiano più autorevole e noto del dopoguerra, trasformando i tre graffi in tagli di Fontana sulla tela. Untitled, 1997