20 dicembre 2022

Focus curatori in 22 domande: intervista a Gemma Fantacci

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22 domande per curatrici e curatori, spesso outsider, per raccontare tutte le declinazioni più attuali di un ruolo di responsabilità: la parola a Gemma Fantacci, “curatrice game-based”

Prosegue il nostro “FOCUS curatori”, 22 domande (le stesse per tutti) destinate a curatori e curatrici spesso “outsider”, per raccontare attraverso declinazioni personali, caratteristiche, metodologie e modalità proprie della professione curatoriale odierna. Un mestiere relativamente nuovo che, nel corso di qualche decennio, ha cambiato radicalmente forma. Una pratica dinamica, basata su studio, fonti d’ispirazione e conoscenze interdisciplinari. Un ruolo di “cura” e responsabilità nei confronti degli artisti e delle loro ricerche, del pubblico, di attenzione ai cambiamenti nella società, nel dibattito sociale, politico e culturale del momento. La sesta puntata della nostra rubrica ha per protagonista Gemma Fantacci. 

Come ti definiresti?

«Sono una ricercatrice nell’ambito delle arti visive. Nello specifico, mi occupo di pratiche artistiche game-based, ovvero di artisti che utilizzano il videogioco come spazio di ricognizione per riflettere sul panorama mediale e la cultura contemporanea». 

Dove sei nata e dove vivi?

«Sono nata a Pontedera, una cittadina in provincia di Pisa, conosciuta soprattutto per la Piaggio e la Vespa. Subito dopo aver preso il diploma al liceo classico mi sono trasferita a Milano per frequentare l’università IULM, che è diventata un po’ una seconda casa».

Dove vorresti essere nata e dove vorresti vivere?

«Nonostante non abbia mai sentito la mia città natale come veramente mia, non vorrei essere nata in un luogo diverso. Negli anni, complice probabilmente la lontananza, ho iniziato ad apprezzare i dintorni della città in cui sono nata e a esplorare in modo più sistematico la Toscana».

Quando hai capito che ti interessava l’arte?

«Ho avuto la fortuna di avere due genitori a cui è sempre piaciuto viaggiare e che mi hanno portata con loro fin da piccola verso qualsiasi meta. Mia mamma mi portava spesso per musei e questo ha avuto sicuramente un forte impatto. Poi mi è sempre piaciuto disegnare – tutt’ora disegno per puro hobby personale – e questo penso abbia alimentato negli anni la mia curiosità verso l’immaginario visivo artistico».

Quando hai deciso che avresti fatto la curatrice?

«Non è stata una vera e propria decisione, ma un’evoluzione più o meno organica del mio percorso accademico e professionale, nonché una convergenza di occasioni diverse. Nel 2018, mentre frequentavo il master in Game Design allo IULM, ho partecipato all’organizzazione del Milan Machinima Festival, diretto da Matteo Bittanti. Questa opportunità ha impattato fortemente il mio percorso accademico, gli interessi di ricerca, e infine il mio futuro lavoro curatoriale. Un altro punto di svolta è stato l’aver conosciuto Marcella Manni, curatrice e direttrice della galleria Metronom di Modena. Quando mi ha chiesto l’anno scorso di curare la terza edizione del Digital Video Wall ero davvero entusiasta perché era la prima volta che curavo una rassegna di opere video al di fuori del festival».

1. VRAL SEASON 1. Curated by Matteo Bittanti and Gemma Fantacci, Concrete Press, 2020.

Quali sono i libri che ti accompagnano nel tuo percorso professionale da curatrice?

«Non per fare pubblicità a VRAL, ma alla fine di ogni serie raccogliamo in un volume le interviste fatte a ogni artista di cui abbiamo curato il lavoro. Il prossimo anno uscirà il terzo volume della serie. Questa raccolta in costante crescita è per me estremamente importante perché più mi ritrovo a rileggere le interviste, e più trovo spunti di riflessione utili che possono essere trasformati in possibili progetti curatoriali». 

Quali sono le fonti, gli autori e le opere extra-arti visive, di cui ti nutri nello svolgimento della tua attività scientifica?

«Consumo svariati tipi di contenuti perché la mia ricerca è molto ibrida di per sé. Quindi spazio dai videogiochi ai film, YouTube, Twitch, social media, letteratura. Non faccio differenza tra contenuti vernacolari o artistici. Idee e ispirazioni possono venir fuori dai contenuti più improbabili». 

Qual è l’opera d’arte che ti ha avviato nei sentieri della professione nelle arti visive?

«Più che altro direi che il punto di svolta è stato il corso di New Media Art che ho frequentato al secondo anno di università, tenuto da Domenico Quaranta. Mi si è aperto un mondo e da lì decisi di continuare ad approfondire questo ambito e le sue diverse declinazioni, nonostante fosse stato l’unico corso sul tema durante i cinque anni di università. Infine, l’ultimo anno di magistrale abbiamo organizzato la mostra GAME VIDEO/ART. A SURVEY, curata da Matteo Bittanti e Vincenzo Trione all’università IULM. La prima rassegna di machinima organizzata in Italia».

Quali artisti contemporanei che hai personalmente conosciuto sono stati importanti nell’avviamento della tua professione? E perché?

«Durante il master ho sviluppato una sorta di spazio espositivo digitale interattivo avente la forma del cubo di Rubik e mentre ricercavo informazioni su progetti espositivi online sono entrata in contatto con Bob Bicknell-Night, artista e curatore dello spazio espositivo online isthisit? Abbiamo conversato a lungo via e-mail ed è stato formidabile sentirsi raccontare un progetto con così tanto entusiasmo e ammirazione per la pratica curatoriale e di ricerca».

Quali sono stati i tuoi maestri diretti e/o indiretti nella curatela?

«Domenico Quaranta, Matteo Bittanti, Marco de Mutiis, Valentina Tanni, Bob Bicknell-Night, Isabelle Arvers, il lavoro di DAATA Editions, sono alcuni dei curatori, studiosi e critici che mi hanno in qualche modo influenzata negli anni». 

Con quale progetto hai iniziato a definirti curatrice?

«Il mio percorso ha avuto inizio con il Milan Machinima Festival. Dopo aver partecipato all’organizzazione della prima edizione nel 2018, Matteo Bittanti mi ha ricontattata dopo un po’ di tempo per chiedermi se fossi interessata a continuare il progetto. Ero elettrizzata all’idea! Avevo finalmente l’opportunità di dedicarmi a un ambito artistico, quello visivo d’avanguardia game-based, che per me rappresentava una ventata di aria fresca». 

Milan Machinima Festival, website homepage

Qual è la tua definizione di curatore?

«Associo al ruolo di curatore e di curatela la necessità di essere curiosi e di intercettare quelli che sono i cambiamenti del contemporaneo e dei diversi media che usiamo, soprattutto se l’ambito di riferimento è quello delle arti visive contemporanee. Per me il curatore, specialmente nell’ambito di indagine in cui mi inserisco, deve avere occhi e orecchie dappertutto per cogliere il cambiamento e cercare di fotografarne i diversi stati, e questa operazione è assai complessa».

Qual è la tua giornata tipo?

«Passare ore davanti al computer! Scherzi a parte, non ho una vera e propria giornata tipo, ma la maggior parte del tempo la passo davvero davanti allo schermo. Quando torno a casa, nella mia città natale, cerco sempre di staccare, fare qualche uscita con la tavola o trekking».

Hai dei riti particolari quando lavori?

«Non ho dei veri e propri riti in realtà. Ci sono un paio di attività che probabilmente possono avvicinarsi a una sorta di ritualità, più che altro per la costanza con cui le svolgo. Per il mio lavoro di curatela per il Milan Machinima Festival sono alla costante ricerca di artisti che lavorano col mezzo videoludico, dunque passo molto tempo su internet alla ricerca di nuovo materiale. Un’altra costante del mio lavoro di ricerca è giocare ai videogiochi e spesso, a seconda dell’interlocutore, questo fa alzare un sopracciglio di sorpresa… o di perplessità!». 

C’è uno spazio per l’imprevisto nel tuo lavoro?

«Decisamente, ma come capita a tutti. Ad esempio, cercare paper e articoli scientifici per la ricerca porta via un sacco di tempo e spesso accade che non si trovi davvero quello che si cerca. Lo stesso si verifica cercando machinima artistici su Vimeo, YouTube, e internet in generale».

Qual è il progetto, la mostra che hai curato che trovi più rappresentativa del tuo percorso scientifico?

«La mia attività al Milan Machinima Festival è quella più rappresentativa di tutte, ma anche la rassegna di screening FILTRO organizzata per la terza edizione del Digital Video Wall. Oltretutto, è stata anche la mia prima curatela extra festival».

A tuo avviso, qual è lo stato della critica d’arte in Italia?

«Per quanto riguarda il mio ambito di indagine, in Italia c’è ancora molto lavoro da fare. Le pratiche artistiche di matrice videoludica sono guardate spesso con occhi un po’ confusi dall’ambito artistico contemporaneo perché, in generale, al videogioco viene sempre addossato questo stigma di prodotto di intrattenimento per bambini o ragazzi, violento e che fa perdere solo tempo. A livello accademico, i game studies non sono valorizzati come in altre università estere, nonostante nel nostro Paese ci siano molti ricercatori e studiosi assolutamente in gamba».

Quali sono i tuoi riferimenti critici?

«Sono diverse le fonti a cui guardo e su cui ritorno. Nell’ambito dei game studies, Alexander Galloway, Soraya Murray, McKenzie Wark, Ian Bogost, sono e sono stati importanti, così come gli scritti di Matteo Bittanti sulla game art e il machinima. Rosalind Krauss e Claire Bishop sono altre due studiose a cui il mio lavoro guarda e a cui fa riferimento, così come quello di Paolo Ruffino e Marco de Mutiis, Mark Tribe, Alfie Brown, ecc… The list goes on! Sono fonti che fanno capo ad ambiti di ricerca diversi ma, allo stesso tempo, convergenti e che dialogano tra loro».

La mostra di un altro collega che avresti voluto curare?

«Guardo al lavoro di altri giovani curatori con molto interesse e come a un’occasione di crescita, di riflessione e di scoperta di nuovi artisti. Osservare il lavoro altrui è sempre positivo. Mi piacerebbe però curare un intervento site-specific in collaborazione con l’Edicola Radetzky e il festival: la struttura sarebbe perfetta per le opere di alcuni artisti che producono lavori ibridi a cavallo tra videogioco e videoarte!». 

Quale ritieni che sia il tuo più grande limite professionale?

«Sono troppo pignola con me stessa e con quello che faccio, e questo è sia un pregio sia un difetto». 

Progetti in corso e prossimi?

«Al momento sto lavorando alla programmazione della quarta edizione del Digital Video Wall di Metronom. Oltre a questo, stiamo organizzando la sesta edizione del Milan Machinima Festival, che si terrà sia online che alla Cineteca di Milano e poi, a fine gennaio 2023, partirò per Liverpool».

3. FILTRO. Carson Lynn, Storm annd Stress, 2021. Curated by Gemma Fantacci for Digital Video Wall, Metronom Gallery

Chi è Gemma Fantacci

Gemma Fantacci (Pisa, 1992) è dottoranda in Visual and Media Studies presso l’Università IULM di Milano, con un progetto di ricerca incentrato sul rapporto tra le pratiche di controgioco e l’Internazionale Situazionista. Nel 2018 ha partecipato alla conferenza The Game is the Message, con un articolo sul rapporto tra gameplay sovversivo, DADA e l’Internazionale Situazionista. Ha contribuito al volume curato Fasten Your Seatbelt. Art, Criticism And Contemporaneity (Metronom, 2020) e ha curato la serie di proiezioni FILTRO (2021-2022) e la serie di focus di opere al centro #SPECCHIO alla Metronom Gallery di Modena. Gemma Fantacci è attualmente Communication Manager del Milan Machinima Festival, co-curatrice della piattaforma online VRAL e del festival.

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