04 ottobre 2021

Giovanni Termini, Da quale pulpito – Palazzo Fabroni

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Finalmente per Giovanni Termini una mostra ricca e esaustiva che dà conto del suo percorso storico e di ricerca, curata da Marco Bazzini. Succede a Pistoia a Palazzo Fabroni, fino al 28 novembre 2021

Ipotesi, 2018, Legno verniciato e nylon / Wood and nylon, Cm 115x100x60, Palazzo Fabroni Pistoia / Sala Nigro. Ph. Michele Sereni

Entrando a Palazzo Fabroni, in un momento di tranquillità e silenzio e accompagnata dall’artista, ho visitato la mostra che è un vero e proprio cantiere “aperto”. Il titolo del lungo ed esaustivo testo di Marco Bazzini– contenuto nel volume da lui curato che accompagna la mostra- esemplifica perfettamente il lavoro di Giovanni Termini: Quando la forma diventa cantiere. Un work in progress di un artista faber che “si sporca le mani”.
La mostra – intensa, coerente e convincente in ogni scelta – si articola su due piani del palazzo: nel primo Termini apre un dialogo con la collezione di Palazzo Fabroni. Aggancia qui alcuni elementi visivi e/o concettuali con le opere presenti collocandosi con garbo nelle sale. Il secondo piano è dedicato alle sue opere che divengono tutt’uno con lo spazio che le accoglie.

Armatura, 2013-2021, Legno da carpenteria e ferro / Carpentry wood and iron. Installation, variable size, (reinstallato Site specific per la mostra), Palazzo Fabroni Pistoia / Sala Parmiggiani. Ph. Michele Sereni

Il rapporto di Termini con gli oggetti e i materiali che costituiscono le sue opere parte spesso da un puntuale rapporto con i luoghi in cui queste si inscrivono, così sia le opere sia l’ambiente stesso prendono nuova vita in un viaggio mentale e formale che de-costruisce e riassembla in modo sperimentale. Un’impresa la sua che conferisce tensione e precarietà ai lavori e restituisce nuova vita allo spazio. Vale per tutti lo storico lavoro Armatura, a suo tempo allestito nella Pescheria di Pesaro, costituito da una cassaforma in legno e metallo che qui sembra spingere le pareti della sala in cui si inscrive. Un contrasto tra una prepotente presenza in fieri che si misura con l’elogio dell’assenza e dell’ombra della Delocazione di Parmiggiani collocata sulle pareti della stanza.
Un elemento si è aggiunto al lavoro presentato in prima istanza: si tratta di un pulpito innalzato precariamente sulla cassaforma che rimanda all’unico lavoro su carta presente in mostra (Da quale pulpito) , che nel disegno viene rovesciato strutturalmente: un omaggio alla città di Pistoia che accoglie il pulpito di Giovanni Pisano nella chiesa di Sant’Andrea, posta di fronte a Palazzo Fabroni, ma anche interrogazione e messa in discussione delle gerarchie di potere he continuano a governarci.

Da quale pulpito, 2021, Oilbar su carta / Oilbar on paper, cm 110x110x5, Palazzo Fabroni Pistoia. Ph. Michele Sereni

Per la visita si parte dal loggiato dove è stato collocato Ostacoli, un lavoro del 2019 davanti al quale Termini precisa: “Nell’arte l’ostacolo causa l’inciampo e così nasce l’opera d’arte. L’inciampo è perciò sempre qualcosa di positivo. Guarda ad esempio Il moto del reazionario di Fabro tutto incentrato su questa idea…”. L’ostacolo all’esplorazione di un percorso è poi incarnato da una serie di veri dissuasori del museo che l’artista ha galvanizzato e distribuito in punti diversi del palazzo, privati della loro funzione di sbarramento.
In mostra tutto appare “sottosopra” o in un certo senso inaspettato, ricco di azzeramenti concettuali e visivi che rivelano apertamente l’approccio al lavoro dell’artista: la messa in discussione del “dato una volta per sempre” in un processo che è sempre interrogante.
Nella personale semiotica di Termini c’è tanta storia dell’arte dal costruttivismo russo al dadaismo all’arte processuale assorbita e rivisitata in chiave originale.
Emblematica anche la presentazione dell’opera lavoro Tempo instabile con probabili schiarite, una struttura in ferro zincato e legno che mima il tetto di una casa (elemento di protezione per eccellenza) da cui fuoriesce un pila di sedie impilate in equilibrio precario. Tutto è giocato su una instabilità fluida. In mostra il lavoro viene spezzato in due sale contigue: nella prima lo spettatore può entrare fisicamente sentendosi protetto, nella seconda (che chiude idealmente il percorso di visita) è invitato a sfondare, ad andare oltre per “elevarsi” assumendosene i rischi.
I lavori di Termini sono composti da materiali crudi, solidi spesso legati all’edilizia che esprimono una forte fluidità in potenza e da oggetti funzionali comuni, spesso stranianti nel modo in cui sono rimessi in scena.

Accade in un minuto, 2017, Video 1’00”, calavalletti in ferro e legno / Video 1’00”, iron trestles and wood, Installation, variable size, Palazzo Fabroni Pistoia. Ph. Michele Sereni

Ne sono esempio il ribaltamento strutturale di una sedia da mare (Ipotesi) che apre nuove possibilità agli oggetti e tre valigette da lavoro in cuoio (Spazio in solido e Tracciatura con spray tracciante) sormontate da blocchi di cemento che danno corpo all’interno vuoto dell’oggetto. Anche il vuoto, nelle composizioni di Termini, ha un peso specifico preciso…”il vuoto può essere uno specifico elemento di annuncio della rottura”, afferma Termini.
Questo approccio al lavoro riflette un’ attitudine personale aperta ai cambi di direzione e di visione. I lavori, come le nostre esperienze, si mostrano in un “qui e ora” che accoglie azioni in potenza; tutto diviene scenario mai risolto definitivamente. Qualcosa è accaduto o sta accadendo o potrà accadere. La scultura Accade in un minuto, costituita dai ferri del mestiere dell’artista accatastati in un angolo, si dinamizza in un video in cui l’artista in studio sperimenta la sua relazione fisica coi materiali mostrando chiaramente come le opere divengono dispositivi praticabili, come accade nella la mente dell’artista, su cui bisogna mantenersi aperti.
Bella e curata la preziosa monografia che accompagna la mostra, edita da Gli Ori.

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