16 maggio 2021

Hybrida Tales by Untitled Association #6: Spazio Insitu e Dr Fake Cabinet

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Untitled Association presenta Hybrida Tales, una mappatura di spazi indipendenti, artist-run spaces e associazioni culturali in tutta Italia: questa volta tappa da Spazio Insitu e Dr Fake Cabinet

© Jusqu'à la prochaine averse, Gregory Sugnaux, Martin Jakob, Liza Trottet, Gehen In Den Berg Spazieren, 2019. Curated by Porter Ducrist. Courtesy Spazio In Situ

Hybrĭda Tales è la rubrica di approfondimento nata da Hybrĭda, il nuovo progetto con cui Untitled Association ha individuato circa 150 tra spazi indipendenti, artist-run spaces, associazioni culturali e luoghi informali che stanno contribuendo significativamente ad ampliare gli sguardi sul Contemporaneo in Italia oggi.

Con un sistema di interviste a schema fisso, Hybrĭda Tales restituirà una panoramica delle realtà indicizzate, siano esse emergenti o ormai consolidate, e coinvolgerà artisti, operatori culturali, curatori, giornalisti, collezionisti, galleristi per dare vita a un archivio condiviso e collettaneo di riflessioni aperte sulle prospettive, attuali e future, del Contemporaneo.

 

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Spazio Insitu

Spazio In Situ nasce nel 2016, quando Christophe Constantin, Marco De Rosa, Roberta Folliero, Andrea Frosolini, Francesco Palluzzi ed Elisa Selli iniziano i lavori di ristrutturazione dello spazio di Tor Bella Monaca a Roma. Nel 2018 al collettivo si unisce Chiara Fantaccione e, successivamente, con l’inaugurazione di Spazio In Più – che va ad aggiungere metri quadri e componenti – entrano a far parte di Insitu Sveva Angeletti, Federica Di Pietrantonio, Daniele Sciacca e Guendalina Urbani, seguiti nel 2019 da Alessandra Cecchini e Francesca Cornacchini. Con un ampio programma di mostre collettive, sia degli artisti membri del collettivo sia di artisti internazionali protagonisti delle mostre ospitate – come nel ciclo di mostre di artisti svizzeri Gehen in den Berg spazieren, a cura di Porter Ducrist, con il patrocinio di Istituto Svizzero e Ambasciata Svizzera – Insitu intende valorizzare il lavoro di artisti emergenti, creando un rapporto unico con il proprio spazio, il contesto, e dando continuità alla relazione tra spazio espositivo e studio d’artista.

 

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Cosa unisce la vostra attività, e quella del vostro spazio, alla ricerca attuale sul contemporaneo?

Siamo molto legati a quello che è il mondo di oggi, sia formalmente che concettualmente. Proviamo ad interrogare la società odierna sotto tutti i suoi aspetti, senza pregiudizi o discriminazioni. Per noi ogni oggetto, ogni soggetto, è degno d’interesse. Il nostro mondo è pieno di stimoli, quindi è facile trovare ispirazione, il vero problema è come renderlo attendibile e come trasformarlo in opera d’arte, senza cadere nelle solite banalità. Cerchiamo tramite l’arte d’interrogare più che di affermare, poi passiamo la palla al pubblico, il quale deve fare lo sforzo di immedesimarsi nei soggetti che proponiamo. Questo processo avviene con assoluta naturalezza, visto che la nostra ispirazione pone le fondamenta nella realtà, quella universale e da tutti riconoscibile. Per quanto riguarda l’ambiente contemporaneo, riteniamo di deviare l’andamento  rispetto a molte altre produzioni locali, infatti tentiamo di fare riferimento sì al contesto della quotidianità, ma anche allungando lo sguardo verso l’arte internazionale. Quello che si evince, da un lato nelle opere presentate dai membri di Spazio In Situ, dall’altro, nelle mostre ospitate, è una linea estetica definita e concreta, dal punto di vista sia formale che concettuale.

Quali legami sentite con la città/luogo in cui operate?

Dal nome In Situ è evidente che siamo molto legati al luogo in cui lavoriamo, infatti quando ci troviamo ad dover esporre nel nostro spazio cerchiamo sempre di interrogarlo sotto tutte le sue caratteristiche, sia organizzative che architettoniche. Per quanto riguarda il quartiere, ci troviamo bene, abbiamo una grande quantità di negozi ed artigiani con cui collaboriamo e questo la rende una zona comoda nella quale lavorare; proprio queste caratteristiche ci hanno spinto a scegliere la nostra sede qui; inoltre la metro C è molto comoda e ci rende raggiungibili da chiunque. Per quanto riguarda Roma, siamo sempre aperti al dialogo e osserviamo con entusiasmo le molteplici realtà indipendenti che stanno nascendo da un anno a questa parte. Sicuramente ci sarà modo di creare interazioni, con l’intenzione di creare solidità nella scena romana nascente.

Cosa significa per voi sperimentazione?

La sperimentazione è un processo che può portare ad un risultato concreto oppure no. Non possiamo definire quello che presentiamo come “sperimentale”, in quanto è, già, risultato della nostra ricerca. Un’opera, una volta esposta ad un pubblico, non può più essere definita sperimentale, perché ha compiuto il suo percorso e ha raggiunto il suo compimento autodichiarandosi. La mostra non segna la fine di una ricerca, ma diventa il momento in cui il processo di sperimentazione si ferma, per essere dimostrato. Molto spesso si definiscono gli artist-run space, come spazi di sperimentazione, considerandoli più come laboratori che come spazi espositivi, ma onestamente, nel nostro piccolo, facciamo lo stesso lavoro di un centro d’arte contemporanea. Noi presentiamo delle mostre con un’estetica in cui crediamo, offriamo ad artisti che vogliamo sostenere, la possibilità di esporre le loro creazioni per presentarle alla scena artistica romana. Tuttavia parlare di sperimentazione è un pò come cercare una scusa prima di concretizzare l’idea; questa parola è diventata la giustificazione di un possibile fallimento, purtroppo la società in cui viviamo non accetta l’errore, e questo è ancora più evidente in un ambiente come quello artistico. Il fatto di avere i nostri studi nella stessa sede in cui organizziamo le mostre, può creare confusione, ma entrando dentro Spazio In Situ si percepisce in modo molto forte la separazione tra gli ambienti espositivi e quelli lavorativi; si tratta di due entità distaccate che convivono nello stesso edificio, complimentandosi a vicenda. La ricerca però portata avanti all’interno degli studi è sperimentazione, e quello che presentiamo nelle nostre esposizioni ne è il risultato.

© HADAL ZONE, bn+BRINANOVARA, 2020. Curated by Valentina Muzi. Courtesy Spazio In Situ
© IN DA PLACE, Spazio In Situ, 2017. Curated by Porter Ducrist. Courtesy Spazio In Situ

Dr Fake Cabinet

Dr Fake Cabinet nasce a Torino nel dicembre 2019 per iniziativa del collezionista Marco Albeltaro e dell’artista Pablo Mesa Capella. Si tratta di uno spazio di sperimentazione in cui si fondono in un unico progetto espositivo, lavori di artisti con carriere diverse: dagli emergenti ai middle career fino agli artisti storicizzati. L’idea di fondo è concetrarsi su opere e su mostre capaci di trattare temi forti, di affrontare tecniche inusuali, permettendo ai visitatori e ai collezionisti di entrare in contatto con sperimentazioni autentiche.

 

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Cosa unisce la vostra attività, e quella del vostro spazio, alla ricerca attuale sul contemporaneo?

Guardiamo ad un’arte capace di intercettare ciò che sta avvenendo nella società per imbastire una critica della nostra contemporaneità. Il nostro obiettivo è realizzare mostre capaci di spiazzare, di proporre nuovi sguardi su ciò che ci accade intorno. La nostra ricerca è volta a individuare dei filoni di inchiesta, attorno ai quali raccogliere le suggestioni che gli artisti intendono proporre. Le ultime due mostre, quella di Nicolò Tomaini ed erotiKa, hanno come scopo quello di indagare, da un lato il meccanismo di mercificazione dell’immagine artistica e dall’altro l’erotismo nelle sue sfaccettature più diverse.

Quali legami sentite con la città/luogo in cui operate?

Torino è una città che ha dato molto al mondo dell’arte. Oggi crediamo che sia un luogo in cui ancora è possibile fare ciò che altrove non si può fare. Sono tanti gli artisti che vivono qui e che si misurano sia con la tradizione torinese, sia con ciò che arriva dal resto del mondo. La nostra stessa idea di costruire una galleria come se si trattasse di un moderno Frankenstein, ossia di una entità composta da cose molto diverse fra loro ma con un equilibrio generale, nasce da un certo spirito torinese legato alle tradizioni alchemiche della città.

Cosa significa per voi sperimentazione?

Sperimentazione significa spingere la galleria oltre i suoi spazi consueti. Per questa ragione abbiamo pensato ad una sorta di galleria-matrioska, nella quale lo spazio viene moltiplicato: una sala espositiva principale, una sorta di project al piano di sopra, le installazioni sulla facciata e il Glory Corner, una cabina nella quale gli spettatori, singolarmente, hanno la possibilità di misurarsi con un’opera di un artista storico e di qualità museale.

Fernando De Filippi, ARTE e PROTEST, 2020. Courtesy the artist and DR Fake Cabinet
Luca Loreti, I love, you love, they-love…, exhibition view, 2020. Courtesy DR Fake Cabinet

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