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Il progetto che porta l’arte nei borghi italiani compie cinque anni. E li racconta in una mostra
Arte contemporanea
La sede milanese di Fondazione Elpis affaccia su un cortile affollato e stratificato che
mette virtualmente in comunicazione due note vie del quartiere che la ospita: la trafficata via Lamarmora, perennemente animata dallo sferragliare delle linee di superficie sull’acciaio dei binari incastonati nella pietra del pavè, e la sorella più silenziosa e punteggiata di verde, via Orti. Ispirato alla forma medievale dell’hortus conclusus e progettato nella sua forma attuale da Michele De Lucchi, il complesso ospita una varietà di forme e storie architettoniche tra le quali emerge discreta la bassa costruzione in laterizio a vista 一 un tempo adibita a lavanderia industriale 一 che dal 2022 ospita le attività espositive della Fondazione.

Oggi una grande vela bianca campeggia sul lato sinistro della sua facciata e accoglie i visitatori con una litania o forse un gioco allitterativo. A un occhio attento non sfuggirà che si tratta della rituale ripetizione della parola Abracadabra, formula per eccellenza della magia mistica che negli amuleti antichi veniva riportata per intero nella prima riga, diminuendo poi di una lettera a destra in ciascuna delle successive, in modo da formare un triangolo col vertice inferiore costituito dalla sola lettera A. Mi piace pensare che l’opera Flag Semaphores del duo GRJB, realizzata nel 2021 per il borgo lucano di Pietragalla, funga da talismano e al contempo da viatico per l’impresa custodita all’interno dell’edificio, con la quale Fondazione Elpis si prefigge di raccontare i primi cinque anni di Una Boccata d’Arte.

Nato da un’idea di Marina Nissim, Una Boccata d’Arte ha messo in dialogo a partire dal
2020 cento borghi con altrettanti artisti, invitandoli alla scoperta del territorio italiano al di fuori dalle più note rotte turistiche. Un invito a rivolgere uno sguardo rinnovato alle attività culturali, messe in ginocchio dalle normative di contenimento dell’epidemia Covid-19, e soprattutto gli spazi deputati alla loro fruizione, spesso chiusi o privati della possibilità di accogliere adeguatamente il proprio pubblico. Nell’impossibilità di accedere a tali luoghi, questo progetto diffuso si è appellato non a caso a quella stessa decentralizzazione che è protagonista delle teorie che affrontano temi complessi e comuni a larga parte del territorio italiano: l’isolamento geografico, lo spopolamento delle aree interne e remote, l’invecchiamento della popolazione, l’erosione del patrimonio culturale immateriale o, per converso, la turistificazione massiva di alcuni borghi e i cambiamenti di natura antropica che investono ambiente e territorio. Portare l’arte al di fuori del circuito tradizionale, nei paesi e nelle frazioni più remote, come alternativa e rimedio, seppur parziale, alla deruralizzazione.

Per stessa ammissione di Nissim, l’intento di restituire un quadro esaustivo in occasione
del quinto anniversario di Una Boccata d’Arte costituirebbe una pretesa utopica, se non per il numero di esperienze, più per via della loro natura 一 dialogica e squisitamente radicata nella relazione che gli artisti, le loro ricerche ed esiti hanno intessuto con le comunità locali, dando vita a opere temporanee e permanenti (oggi 42) ma soprattutto a occasioni di condivisione difficilmente documentabili mediante l’uso di video, immagini o parole. Cento le esperienze maturate, le opere realizzate 一 venti ogni anno, coordinate ed accompagnate da altrettanti curatori regionali, figure il cui ruolo è quello di facilitare la connessione tra artista e territorio grazie alla profonda conoscenza dell’area interessata.
Nonostante ciò, Dove non sono mai stato, là sono si configura come un’impresa possibile, libera dalla chimera di una restituzione enciclopedica e capace di condensare in tre piani e altrettanti capitoli gli aspetti salienti di questa esperienza così sfaccettata.

Il piano terreno 一 che include l’interno e l’esterno dell’edificio 一 rappresenta infatti una summa visiva di alcune esperienze significative: dai bozzetti di Gaia Di Lorenzo del Palazzo Ducale di Pietramontecorvino, ai disegni “performativi” di Antonio Della Guardia concepiti durante la residenza a Morgex; dai leggeri tondi pittorici di Alice Visentin alle carte geografiche di Simone Carraro. Si procede poi all’esterno, introdotti dalla già citata Abracadabra, dove il cortile accoglie opere di Lucia Cantò, Binta Diaw, Judith Hopf, Margherita Moscardini, Matteo Nasini, Agostino Quaranta e Nátalia Trejbalová.
Una volta rientrati, l’opera parietale site specific di Mattia Pajè, che raccorda i tre livelli facendo da sfondo alla scala centrale, accompagna i visitatori al piano interrato, che si apre con l’opera di Simone Bacco, realizzata a Spinazzola in Puglia, che dà il titolo alla mostra. Sul lato destro, le sculture in gommapiuma di Sabrina Melis fungono da giocosi plinti colorati per una selezione di libri, edizioni e pubblicazioni legate ai progetti di Mariona Cañadas e Pedro Murùa, Francesco Cavaliere, Beatriz de Rikke, Benjamin Jones, Irini Karayannopoilou, Renato Leotta, Mohsen Baghernejad Moghanjooghi, Caterina Morigi, Arianna Pace, Mattia Pajè, Sóley Ragnarsdóttir e Alice Ronchi.
Nella porzione centrale del piano sono invece alloggiate le postazioni di ascolto dedicate ai vinili incisi da Polisonum ed Elena Rivoltini. La sala sinistra, adibita a cabina di regia, ospita infine due proiezioni simultanee: un montaggio dedicato alla documentazione dei cento progetti realizzati sinora da Una Boccata d’Arte e una sequenza di opere video realizzate da Fabrizio Bellomo, Simone Carraro, GRJB, Luis López-Chávez, Eva Marisaldi, Andrea Martinucci, Raffaela Naldi Rossano, Polisonum, Agostino Quaranta e Elena Raghad Saqfalhait oltre che documentari sugli interventi di Baratto & Mouravas, Beatrice Celli e Virginia Russolo.

Accompagnati nuovamente dal murale di Pajè, si riemerge e si prosegue verso il piano primo, interamente dedicato a un’installazione commissionata al collettivo bolognese Atelier Tatanka. Il progetto, illustrato nel dettaglio da un pieghevole dedicato, nasce da uno studio approfondito delle cinque edizioni di Una Boccata d’Arte a partire da immagini d’archivio, testi e pubblicazioni e anima lo spazio espositivo su due livelli: quello verticale e quello orizzontale. Alle pareti si trova infatti una diffusa mappa concettuale, fatta di indicazioni geografiche e immagini in bianco e nero delle opere realizzate, al contempo mascherate da una silhouette colorata ed enfatizzate dal contrasto cromatico.
Domina invece il pavimento una grande composizione di stampe accostate in uno schema apparentemente libero che in realtà restituisce la geografia fisica dello Stivale. A completare l’installazione, una costellazione di punti colorati in corrispondenza dei
borghi 一 uno per ogni stampa 一 che hanno ospitato le edizioni di Una Boccata d’Arte dal 2020 al 2024.

Questa operazione di genesi cartografica non si limita unicamente ad accompagnare il visitatore a orientarsi nello spazio e nel tempo ma racconta anche lo spirito della manifestazione a partire dagli aspetti più intimi e meno evidenti, come la tecnica scelta: la stampa Risograph, firma di Atelier Tatanka, generalmente associata alla produzione di multipli, viene in questo caso impiegata per dare vita a pezzi unici capaci di restituire concettualmente la singolarità di ciascuna esperienza.
Dove non sono mai stato, là sono è un racconto corale, capace di evocare visioni
passate in chi abbia già fatto esperienza di una delle cento installazioni di Una Boccata d’Arte ma anche di proiettare un’immagine composita e multiforme nella mente di chi ancora non si fosse imbattuto in una di queste. Come un canone o un contrappunto, la mostra restituisce efficacemente lo spirito del progetto, nel quale le voci degli artisti, delle comunità e lo spirito dei borghi si sovrappongono e armonizzano ad libitum, facendo pregustare ai visitatori la sesta e ormai prossima edizione, votata alla creazione di altre venti inedite polifonie.