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La forza del simbolo, nelle opere di Martina Fontana in mostra a Brescia
Arte contemporanea
di Marina Dacci
Si respira sacralità entrando nella mostra di Martina Fontana, nello spazio dell’ex chiesa dei Santi Filippo e Giacomo a Brescia, sede di CARME – Centro Arti Multiculturali Etnosociale. L’allestimento segue il ritmo dello spazio architettonico – antica struttura composita, dal sapore escheriano – e accompagna i passi del visitatore scandendo, nelle nicchie e lungo la navata centrale, la comparsa di oggetti sospesi o depositati su plinti. Elmo, Scudo, Corsetto, Muta, Vuoto, Cicatrici, Gelosia, Maschera sono definiti dall’artista dispositivi di protezione individuale e conducono verso un palco che assomiglia a un altare. Qui lievita l’opera Habitat e, alle sue spalle, in sospensione, Telluric Nest, il nido che diventa una pala d’altare, simbolo di accoglienza.
Alzando gli occhi, si affacciano dal ballatoio immagini di un gruppo di donne che palesano solo parzialmente il loro corpo protetto da uno scudo lunato. In una di queste compare un abbraccio solidale in cui le figure femminili – che l’artista definisce Amazzoni – impiegano il proprio corpo come bandiera di un percorso doloroso ma affrancante, un percorso in cui dopo la lotta appare una riappacificazione vissuta collegialmente. La pelle degli artefatti – che si incontra con la pelle di tutte le donne rappresentate – è una pelle vegetale o quantomeno la emula: una mimesi tra albero e corpo umano, che attesta e sottolinea, più volte e in più opere, quanto la natura costituisca punto di riferimento per l’artista.

Il passo procede cadenzato verso uno spazio intimo, quasi privato, un tempo sede del coro delle monache, in cui si svela il segreto di una postura salvifica per l’artista e non solo. I dispositivi di protezione da guerrigliera, o meglio da Amazzone, cedono il passo a un involucro protettivo nell’opera Vasaia. Il corpo dell’artista, qui assente eppure fortemente presente, è avvolto in un bozzolo di terra cruda che parafrasa l’operato della natura, una natura che sa ben accompagnare lo sviluppo e la crescita delle forme viventi. L’artista / crisalide è ben custodita mentre avviene la sua evoluzione e il suo sguardo è rivolto alla costellazione di Orione. Nell’opera 19 Stelle, realizzata in resina alluminata su un tessuto indaco, ancora una volta si riafferma l’idea osmotica uomo-natura in cui il guerriero Orione tende a riequilibrare l’energia del cosmo in cui tutte le forme viventi si inscrivono.
L’iconografia che tratteggia tutta la mostra attinge a piene mani da simboli e archetipi che attraversano la storia dell’uomo e che qui vengono incarnati in vicende più che mai attuali ribadendo in tal modo la loro capacità di attraversare il tempo e o spazio.

Nata a Prato, nel 1984, Martina Fontana è una resistente, una guerriera. Trasmette questa sua forza in una dimensione soggettiva e agendo in collettivo. In tutti i suoi lavori, dal processo di produzione all’esito formale finale, appare un costante rispecchiamento tra evoluzione individuale e costruzione di identità collettiva in cui l’accettazione e la fortificazione personale passano attraverso una comunione autentica. I suoi workshop divengono fulcro germinativo condiviso di consapevolezza.
Così gli stessi dispositivi di protezione da potenziali armi di difesa si trasformano in strumenti proattivi di coesione come ben visibile nel progetto Amazzoni in cui l’artista ha coinvolto un gruppo di giovani donne con un percorso di malattia oncologica. Ognuna di loro ha scelto una ferita sulla corteccia di un albero, metafora della loro cicatrice sul corpo e, attraverso attività laboratoriali condivise, l’aggregazione di queste cicatrici ha portato alla realizzazione di uno scudo lunato.

Il senso di apertura in cui il collettivo diviene appartenenza, il trovare dimora, sono poi visibili, con altrettanta chiarezza, nell’opera Habitat che gravita nello spazio espositivo. La città, il cui skyline è creato con una serie di mattoni esagonali in galestro, poggia su un complesso e meticoloso intreccio di radici in ferro al cui rafforzamento costruttivo contribuirà il collettivo di rifugiati richiedenti asilo dell’associazione ADL Zavidovici di Brescia, durante un workshop dedicato.
In entrambi processi, il consolidamento di una stabilità personale, la lotta alla sofferenza e al disagio, il riconoscimento sociale, vengono superati con un lavoro congiunto, dopo l’ascolto e la costruzione di una relazione.
Il processo di purificazione e di cucitura di sapore quasi “terapeutico” avvengono sempre in rapporto alla natura. Questa è la matrice di partenza dell’artista, il suo modello, il suo approdo. Il rapporto con le radici e con la pelle vegetale nasce dalla capacità della pianta di assumere energia dalla terra, di sviluppare il suo radicamento e l’appartenenza e dalla capacità di restituire ossigeno e stabilità al suolo, ma anche di tendere verso “l’alto”. Questo modello è più che mai indispensabile anche all’essere umano per continuare a vivere in modo fertile. Si nasce dalla terra e si tende al cielo in una costante battaglia densa di sforzi e di dolore, verso una luce fatta di consapevolezza. In questo percorso, l’arte può diventare agente di cambiamento psichico e sociale?

La mostra di Martina Fontana presso lo Spazio CARME di Brescia sarà visitabile fino al 6 luglio 2025.