29 aprile 2025

La prima Biennale di Public Art ad Abu Dhabi è il risultato di una città che interroga se stessa

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Oltre 70 artisti internazionali attivano luoghi di vita quotidiana della capitale emiratina attraverso installazioni, performance e progetti di comunità. Una manifestazione collettiva lontana dall'immagine-cartolina della città

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Urban Majlis, Arquitectura Expandida, 2025. From _Urban Negotiation_, 2017 - ongoing. Public Art Abu Dhabi Biennial 2024-2025. Image(s) courtesy of the artists

Guardare con attenzione e senza pregiudizi quello che sta accadendo sul versante dell’arte contemporanea negli Stati del Golfo, potrebbe essere cruciale per comprendere non solo il presente, ma anche il futuro di un sistema emergente che si prospetta di acquisire un ruolo sempre maggiore all’interno del mosaico globale. Abu Dhabi emirato della cultura pubblica, Dubai del commercio privato: è il distinguo – seppur generico, grossolano – di cui si parla oggi per descrivere le matrici su cui si stanno orientando le principali capitali emiratine.

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Arquitectura Expandida, Urban Negotiation, Public Art Abu Dhabi Biennial 2024 – 2025 © Ismail Noor for Seeing Things

E così, mentre i collezionisti hanno animato i corridoi della fiera Art Dubai, negli stessi giorni Abu Dhabi svelava le ultime opere della Biennale di Public Art, in corso fino alla fine di aprile. Una prima edizione di carattere espressamente pubblico, sostenuto dal Dipartimento di Cultura e Turismo che ha destinato alla manifestazione 35 milioni di dollari. Pubblico è l’indirizzo, pubblico è il tema: Public Matter, infatti, è il concetto chiave attorno al quale oltre 70 artisti hanno lavorato nel corso degli ultimi sei mesi, indagando i diversi aspetti – sociali, culturali, antropologici, urbani, architettonici – di una metropoli in cui, oltre al luogo comune dei grattacieli-landmark, c’è molto da scoprire.

Farah Al Qasimi, Homesickness, Public Art Abu Dhabi Biennial 2024 – 2025 © Lance Gerber

La storia infatti è nota: il territorio, costituito fino agli anni Sessanta da villaggi di pescatori insediati ai margini del vasto deserto, a partire dall’inizio del commercio del petrolio ha mutato volto in modo repentino, diventando una metropoli proiettata nel futuro. Ma più che de “la città che sale”, di boccioniana memoria, questa ultima biennale pare volersi occupare di una città che si radica, che tralascia lo sguardo verticale per occuparsi orizzontalmente dei luoghi che la compongono e della popolazione che li anima. Public Art Abu Dhabi Biennial ci permette quindi di affrancarci dall’immagine-cartolina della metropoli per svilupparsi nei luoghi del vivere quotidiano, come la Abu Dhabi Bus Terminal Station, il Carpet Souq (mercato dei tappeti), la Corniche (la passeggiata del lungomare) il National Theatre, la Cultural Foundation e il centro storico, fino ad arrivare all’Oasi di Al Ain, un sito fuori porta diventato nel 2011 Patrimonio Unesco.

Load na Dito, In search of a monument, Public Art Abu Dhabi Biennial 2024 – 2025 © Ismail Noor for Seeing Things

Ambiente, comunità, urbanità e identità indigena sono le quattro direzioni in cui si muove la manifestazione diffusa, diretta da Reem Fadda assieme al team di curatrici composto da Alia Lootah, Mona Al-Jadir, Carmen Salah Hassan e Amal Al Khaja. Un momento di riflessione necessario in cui l’occhio degli artisti è soggetto attivo, le cui pratiche diventano agente dinamico nei confronti dei tanti aspetti di una città dall’enorme espansione avvenuta in tempi brevi. Una Biennale che esprime infatti la sua forza dirompente soprattutto nei progetti partecipativi dedicati alla comunità: ne è un esempio emblematico Urban Negotiation, il lavoro del collettivo colombiano Arquitectura Expandida che ha trasformato per tre mesi un negozio del centro storico nella sede della propria residenza. Qui è stato costruito, con materiali di recupero, un tavolo da ping-pong mobile; un oggetto di uso comune che, trasportato all’interno dello spazio pubblico, è stato capace di dare vita a momenti di aggregazione e incontro spontaneo, una sorta di happening di sapore ludico accuratamente documentato dai suoi autori. Lo stesso negozio-studio viene condiviso da un altro collettivo, i filippini Load na Dito che hanno accolto i visitatori proponendo un gioco di gruppo in cui, partendo da alcune parole chiave, è stato possibile raccontarsi storie ed esperienze di vita plasmando allo stesso tempo delle forme in cera e trasformando lo spazio in un negozio di souvenir (FLEX – STORY SOUVENIR è infatti il nome posto sull’insegna del negozio, in modo volutamente mimetico).

Daniel Buren, En attendant les fontaines…, Public Art Abu Dhabi Biennial 2024 – 2025 © Lance Gerber

Una pratica che gioca con la stessa parola “souvenir”, intesa sia come oggettistica per turisti che come memoria personale. E ancora, a proposito di gioco, a pochi passi sorge il parco della Cultural Foundation, in cui è posizionato Playful Traditions di Ayesha Hadhir, un insieme di installazioni a tema marino tratte dalle storie di famiglia dell’artista e diventate giochi per bambini, espandendone il campo semantico. L’interazione con le opere d’arte è una cifra comune della biennale: basti pensare a un altro lavoro di forte impatto come Interspieces Assembly, posta nel cuore di Capital Park (il parco più antico e tra i più vissuti della città), un complesso di blocchi di finissimo marmo rosa del Portogallo disposti in cerchio.

Athar Jaber, Clearing, Public Art Abu Dhabi Biennial 2024 – 2025 © Lance Gerber

La scultura, ideata dal collettivo danese SUPERFLEX, si fa metafora delle dinamiche di consenso e di dissenso, del difficile rapporto di coesistenza tra specie diverse, ma offre allo stesso tempo un piano su cui il visitatore può arrampicarsi, stendersi, meditare e sentire il contatto con questa particolare pietra. La pietra è anche il cardine del lavoro di Athar Jaber, artista iracheno nato a Roma e trasferitosi recentemente ad Abu Dhabi che, attraverso la sua opera Clearing, staglia nella pietra il peso dell’assenza. «Si tratta di una scultura ‘a levare’», racconta ad exibart a proposito del suo monolite in cui una vuota silhouette invita il visitatore a percorrere la scultura. «Volevo che l’opera si facesse soglia, passaggio, che chi la attraversa possa sentire il contatto con la materia – prosegue. – La pietra è tutto, è la casa primordiale in cui l’uomo per la prima volta realizzò un graffito, in cui espresse una forma d’arte».

Christopher Joshua Benton, Where Lies My Carpet Is Thy Home, Public Art Abu Dhabi Biennial 2024 – 2025 © Lance Gerber, Edited by Christopher Joshua Benton

Parlare di comunità negli Emirati Arabi, paesi dalla storia giovane, la cui popolazione è costituita per circa il 90% da immigrati provenienti da una grande varietà di paesi nel mondo, significa misurarsi con un mosaico complesso. È quello che ci rivela Clémence Bergal, capo della Public Art di Abu Dhabi «Rapportarsi con numerose comunità è una sfida, significa coinvolgerle e parlare con loro in una dinamica di quartiere. Allo stesso tempo è qualcosa di veramente potente e gratificante quando succede e funziona». Emblematico, a questo proposito, è il caso di Cristopher Joshua Benton, autore di Where Lies My Carpet Is Thy My Home, un enorme tappeto lungo 66 metri e largo 42, che ha raccolto storie di tutti i commercianti, perlopiù di origine pakistana, che vivono nell’area circostante, la cosiddetta “Carpet Souq”, raccogliendone sogni e ambizioni e riportandoli su questa superficie, trasformatasi poi per sei mesi in uno spazio collettivo, che ha accolto balli popolari, concerti, dj set e proiezioni di film.

Lawrence Abu Hamdan, Wsh Wsh, Public Art Abu Dhabi Biennial 2024 – 2025 © Lance Gerber

La biennale è anche l’occasione per guardare alle nuove tendenze visive del mondo arabo, che evocano le atmosfere mediorientali. È il caso di Lawrence Abu Hamdan, artista libanese di base a Dubai, che con l’opera onomatopeica Wsh Wsh trasforma le fontane esistenti della Corniche in un concerto di elementi sonori e ciclici, un riferimento alle conversazioni confidenziali che a Damasco avvengono tradizionalmente nei cortili delle abitazioni, nascoste dallo scorrere dell’acqua. Rawdha Al Ketbi, invece, nell’oasi di Al Alain lavora sulle palme, elemento identitario del territorio: scale con linee elicoidali – che ricordano in qualche modo gli scivoli di Carsten Holler – avvolgono i tronchi degli alberi puntando l’attenzione sulla vita vegetale che cresce, si espande, crea riparo attraverso la folta chioma.

Rawdha Al Ketbi, Al Gaidh, Public Art Abu Dhabi Biennial 2024 – 2025 © Lance Gerber

Dall’ambiente naturale a quello costruito: di grande sofisticatezza concettuale, l’opera di Zeinab Alhashemi, posta di fronte al terminal della stazione cittadina, ne riprende l’architettura brutalista per trasformarla in un’installazione di scala minore, e offrire un giaciglio dato dall’aiuola posta sull’ideale tetto della scultura, su cui i passanti possono sedersi o sdraiarsi.

Zeinab Alhashemi, Equilibrium, Public Art Abu Dhabi Biennial 2024 – 2025 © Lance Gerber

Tra le opere di maggiore impatto, infine, l’installazione light-sound di Afra Al Dhaheri cerca attraverso un’esperienza sensoriale di farsi da balsamo lenitivo per le nevrosi collettive: D-constructing Collective Exhaustion è, infatti, l’opera collocata all’interno del National Theatre in cui una serie di corde adagiate su una struttura modulare si anima attraverso l’interazione con una coreografia di luci e suoni.

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Afra Al Dhaheri, D-constructing Collective Exhaustion, Public Art Abu Dhabi Biennial 2024 – 2025 © Lance Gerber

Occuparsi di arte contemporanea ad Abu Dhabi è come scrivere il primo capitolo di una nuova storia su una pagina bianca. Significa intercettare negli artisti una simbologia arcaica e tradizionale – la palma, lo scorrere dell’acqua, la sabbia, il senso dell’incontro, la tradizione orale – e al contempo decifrare un potenziale che trova in una matrice cosmopolita la volontà di esprimersi. Così come sta avvenendo nell’Isola Saadiyat, sede del nuovo Cultural District della città, in cui dalla parte del Louvre emiratino di Jean Nouvel è possibile scorgere il nascente Guggenheim in costruzione, a fianco a un complesso di atelier che ospiterà gli artisti del domani. Un progetto corale che vede nel sostegno alla cultura il suo orizzonte.

1 commento

  1. Praticamente incommetabili….azioni più che opere..installazioni..spettacolini.. che frastornano il pubblico..incomprensibili per noi occidentali..mi immagino per i locali.!.…solo merce per curatori prezzolati ..E IN CODESTI AMBIENTI PIOVONO MILIARDI….istituzioni che cercano visibilità in questo settore diventato un affare di firme ARTE BANCARIA..una cultura degenerata..che alimenta il movimento dei SENZATALENTO…..TOYO

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