13 luglio 2022

Non muoia una mosca: l’opera di Damien Hirst rimossa dalla mostra

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Il Kunstmuseum di Wolfsburg ha rimosso da una mostra una famosa opera di Damien Hirst, A Hundred Years, sotto pressione degli animalisti della PETA, preoccupati per le mosche

Damien Hirst, A Hundred Years, 1990, Vetro, acciaio, scatola di pannelli MDF, trappola per mosche elettrico, 4 ciotole in metallo di cui 2 riempite con ovatta e acqua o zucchero, mosche/larve 208 x 400 x 215 cm

Era da un po’ che non si incontravano ma, anche a distanza di tempo, quando succede, scatta sempre la scintilla. Stiamo parlando, chiaramente, di Damien Hirst e degli animalisti, nello specifico, della PETA, che ha denunciato pubblicamente il Kunstmuseum di Wolfsburg per la morte di centinaia di mosche, causata da un’installazione dell’artista inglese. A seguito della denuncia, l’ufficio veterinario dell’amministrazione comunale ha contattato in maniera informale il museo e tanto è bastato: l’opera d’arte è stata smantellata.

L’opera in questione è A Hundred Years, rielaborazione della più famosa A Thousand Years, installazione che Damien Hirst presentò per la prima volta nel 1989, composta da una grande teca di vetro e ferro divisa in due ambienti, comunicanti attraverso alcuni fori. Da una parte, una testa di mucca grondante di sangue e una lampada antizanzare, dall’altra una incubatrice di larve di mosche. Facile immaginare cosa succede: le larve si sviluppano, le mosche nascono, attratte dall’odore del sangue si spostano nell’altro ambiente, quindi si nutrono e, infine, muoiono fulminate dalla lampada. Vita e morte di una mosca – ma anche di qualunque essere organico – raccontate in maniera essenziale, spietata, in uno spettacolo voyeuristico racchiuso in pochi centimetri. Con qualche trucco: il sangue infatti è in realtà acqua colorata e zucchero.

Damien Hirst, “A Thousand Years” (1990). Image courtesy of the artist and Science Ltd. Photo: Roger Wooldridge

A Thousand Years fu esposta per la prima volta in occasione della prima importante personale di Damien Hirst, “Gambler”, curata da Carl Freedman e Billee Sellman al Building One, un ex magazzino a Bermondsey, Londra. L’anno successivo, lo Young British Artist avrebbe presentato The physical impossibility of death in the mind of someone living, lo squalo tigre immerso in una vasca di formaldeide e in quel momento fu subito chiaro a tutti che tra Hirst e gli animalisti – ma anche tra Hirst e gli animali – non sarebbe corso buon sangue (qui la conta delle vittime illustri) Sempre negli stessi anni, giusto per dovere di cronaca, Hirst realizzava quelle ipnotiche e caleidoscopiche composizioni a mandala, con farfalle essiccate nella vernice.

Al Kunstmuseum di Wolfsburg, in occasione di “Power! Light!”, interessante mostra sugli utilizzi pratici e sulle implicazioni concettuali della luce artificiale, è stata esposta una versione successiva, A Hundred Years appunto, in cui al posto della testa di mucca viene usata come esca dell’acqua zuccherata, raccolta in bacinelle. Tra le opere, anche NOT FOR YOU, l’insegna al neon di Monica Bonvicini del 2006. Nel caso dell’opera di Hirst, è evidente il nesso: la luce attira e distrugge. Ma il fatti che le vittime siano delle povere mosche inconsapevoli è sembrata una crudeltà gratuita alla PETA, organizzazione no-profit che si batte a livello internazionale per sostenere i diritti degli animali e che già in varie occasioni ha affrontato Damien Hirst. Una delle ultime volte che gli animalisti hanno boicottato Hirst è stato proprio a Venezia, in occasione della mostra-monstre “Treasures from the Wreck of the Unbelievable” a Punta della Dogana e Palazzo Grassi, nel 2017. In quella occasione, furono tirati in ballo ben 40 chili di sterco.

«Uccidere animali non ha nulla a che fare con l’arte, mostra solo l’arroganza delle persone che letteralmente scavalcano i cadaveri per i propri interessi», ha affermato Peter Höffken della PETA in una nota. Secondo la legge tedesca sul benessere degli animali, «Devono esserci buone ragioni per causare danni a un animale» e il Kunstmuseum di Wolfsburg non se l’è fatto ripetere due volte, decidendo di smantellare l’opera in anticipo – comunque di pochi giorni – sulla chiusura della mostra.

Otmar Böhmer, amministratore delegato del museo d’arte, ha spiegato ai giornali tedeschi che le larve sono state acquistate da un fornitore per la pesca e l’installazione conteneva solo una piccola parte delle mosche schiuse. «Condividiamo l’idea di base della PETA: gli animali non sono lì per intrattenerci o essere sfruttati», ha affermato.

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