15 giugno 2025

Other Identity #163, altre forme di identità culturali e pubbliche: Giovanni Lo Castro

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Other Identity è la rubrica dedicata al racconto delle nuove identità visive e culturali e della loro rappresentazione nel terzo millennio: la parola a Giovanni Lo Castro

_Frame estratto da Metapicture, 2023, 4,50 min, mp4, Lusvardi Gallery, MI

Tratta dall’omonima rassegna ideata dall’artista e curatore indipendente Francesco Arena, la rubrica “OTHER IDENTITY – Altre forme di identità culturali e pubbliche” vuole essere una cartina al tornasole capace di misurare lo stato di una nuova e più attuale grammatica visiva, presentando il lavoro di autori e artisti che operano con i linguaggi della fotografia, del video e della performance, per indagare i temi dell’identità e dell’autorappresentazione. Questa settimana intervistiamo Giovanni Lo Castro.

RITRATTO, fotogrammetria Giovanni Lo Castro

Other Identity: Giovanni Lo Castro

Il nostro privato è pubblico e la rappresentazione di noi stessi si modifica e si spettacolarizza continuamente in ogni nostro agire. Qual è la tua rappresentazione di arte?

«La prima parte della domanda mi porta a riflettere sulla differenza tra pubblico e privato per un artista. Innanzitutto, mi chiedo quanto possa considerare mia l’arte che faccio. In un certo senso, il prodotto della mia ricerca è fisicamente mio quando si trova ancora nel mio studio, ma una volta che esso esce anche io divento uno spettatore. Quello che posso affermare è che l’esperienza e l’intimità che metto nelle opere coinvolgono sempre qualcun’ altro, soprattutto se si lavora con la memoria.

Sento che le foto presentate, ad esempio nell’installazione Hyper Quotidiano, raccontano circa quattro anni di archivio semi-consapevole di fotografie scattate o ritrovate. Si tratta di immagini molto intime, che necessariamente raccontano un lato del mio vissuto, delle persone che mi circondano o dei contesti in cui mi trovo. Non è tanto il mio privato quanto il punto di vista e il dispositivo dal quale nascono che le rendono pubbliche. Cerco di raccontare lo sguardo sul mondo partendo dal mio punto di vista. L’immagine è intima e pubblica allo stesso tempo, proprio come può esserlo un ricordo.

Per rispondere alla domanda, credo che si tratti più di una presentazione che non di una rappresentazione. Si tratta di un punto di vista dialettico che rimane aperto e non cerca di rappresentare nulla. Con tutti gli input che abbiamo oggi, l’idea di inconscio “globale” che riduce sempre più la distanza tra pubblico e privato si rafforza. Credo che l’arte in generale abbia sempre sfumato i confini tra questi due opposti».

Frame estratto da Corpo Spazio, 2023, 11,50 min, mp4, MI

Creiamo delle vere e proprie identità di genere che ognuno di noi sceglie in corrispondenza delle caratteristiche che vuole evidenziare, così forniamo tracce. Qual è la tua “identità” nell’arte contemporanea?

«Mi mette a mio agio pensare che domani posso essere completamente diverso. Più che altro, non ci penso e non credo sia utile farlo. Da bambino ci riflettevo, come se l’identità dovesse precedere le azioni. Ora, più che rimanere fedele a me stesso, è importante che il mio lavoro abbia un’identità, una ricerca, una direzione. La contraddizione fa parte necessariamente del percorso. Non immagino l’identità come qualcosa di solido. Penso che il mio senso di libertà si basi anche su questo. L’identità ci caratterizza e ci presenta, ma l’unico limite, secondo me, è che è temporale e la doniamo a persone e contesti diversi in tempi diversi, risultando sempre identità diverse tra loro.

Al momento, sto facendo molta ricerca sull’immagine. Come una lingua, cerco di capire come funziona e quali limiti possa avere, a cosa serva e che uso ne facciano gli altri. Di conseguenza, mi rendo conto di quanto l’immagine o l’immaginario abbiano contribuito a costruire la mia identità e quanto siano in grado di mutarla. Sicuramente è imprescindibile ciò che guardo o ciò che leggo nel mio lavoro. Il contesto e il mio percorso personale contribuiscono necessariamente alla costruzione della mia identità.

È interessante comprendere come Internet, in generale, abbia sviluppato sempre più dei cluster identitari, gruppi di persone che si identificano in qualcosa di specifico creando delle mini-comunità di scambio. Un ulteriore livello è la tracciabilità in questo senso in rapporto con il tempo. Internet archivia lo sviluppo della nostra identità, seppur parziale, creando uno storico delle nostre foto o altri modi di rappresentarci, dei nostri gusti e delle nostre preferenze. Quanto questo altera o modifica la nostra idea di identità? Per me è una questione che rimane aperta».

Hyper Quotidiano – Vuoto di memoria. 2023, 10x 5 m, 200 foto rgb, stampate su Fujicolor 15 x 10 cm

Quanto conta per te l’importanza dell’apparenza sociale e pubblica?

«Lo può essere se si è portatori attivi di un messaggio. Confido molto nei messaggi che l’arte può trasportare e se ci si mette la faccia, ben venga. Per il resto, spesso le cose possono non andare di pari passo e va bene anche così. Non è necessario per quella che è la mia pratica artistica o la ricerca, se posso aprire dei dialoghi con il mio lavoro, ben venga. Personalmente, mi sento libero di interessarmi a cose diverse».

Installation view, Corpo Spazio, 2023, 11,50 min, mp4, MI

Il richiamo, il plagio, la riedizione, il ready made dell’iconografia di un’identità legata al passato, al presente e al contemporaneo sono messi costantemente in discussione in una ricerca affannosa di una nuova identificazione del sé, di un nuovo valore di rappresentazione. Qual è il tuo valore di rappresentazione oggi?

«Nella contemporaneità, l’accesso alle informazioni e gli input che riceviamo sono pressoché illimitati, rendendo difficile distinguere ciò che è originale da ciò che è originario. Con internet e le immagini, questo problema diventa ancora più evidente: tutto sembra una rimediazione di un fenomeno già accaduto, di un’immagine già vista. L’identità entra in crisi e i suoi confini si sfumano. Il paradosso è che rimaniamo individualità isolate che spesso non riescono a comunicare, nonostante si abbia accesso facile alle vite degli altri.

Nel lavoro video “Corpo spazio”, cerco di realizzare una fotogrammetria del mio corpo con il cellulare, ottenendo una rappresentazione digitale e texturizzata di esso. La rappresentazione viene frammentata e il corpo diventa un limite: la distanza massima di visione è determinata dalla lunghezza del mio braccio che tiene la telecamera del cellulare. Si tratta di una performance documentata da un doppio video affiancato: da un lato si vede il risultato della fotogrammetria, dall’altro le modalità e lo spazio in cui avviene.

I due video posti uno accanto all’altro creano diverse relazioni organizzate su più livelli. La relazione più immediata è il confronto tra lo spazio reale e quello virtualizzato. In secondo luogo, ci accorgiamo subito dell'”errore” mostrato dalla fotogrammetria. Solitamente, infatti, non viene utilizzata in movimento, tanto meno se i soggetti stessi si muovono. La fotogrammetria si configura come uno strumento miope, capace di svolgere il suo compito con determinate accortezze. Trovo interessante spingere uno strumento ai limiti delle sue possibilità di utilizzo. Infatti, lo spazio mostra dei buchi e viene alterato. Inoltre, la texture si applica in modo del tutto surreale, ricreando di fatto un ambiente “Altro”, un luogo nuovo, virtuale. La stessa cosa avviene per la mia copia digitale, che diventa una rappresentazione parziale, un punto di vista che rispetta i limiti del dispositivo e del mio corpo stesso.

Nella mia più recente serie di dipinti intitolata Operational Image, mi sono ispirato a una vasta gamma di fotografie provenienti da contesti lavorativi e tecnici, che spaziano dal campo militare a quello medico. Queste immagini sono state catturate con uno scopo specifico, utilizzando dispositivi progettati per eseguire azioni mirate che producono risultati di natura tecnica. Un esempio tangibile di ciò è rappresentato dall’uso della fotogrammetria, che oggi consente di creare ecografie tridimensionali in grado di mappare con precisione il feto all’interno dell’utero materno, offrendo così una sorta di anteprima del nascituro.

In Twins Kiss un quadro ad olio trovo interessante il modo in cui l’immagine di partenza, pur avendo una chiara utilità medica per la scansione e il monitoraggio, riesce a trasmettere significati profondamente radicati nel contesto culturale ed emotivo. Un guardarsi dentro nel vero senso della parola. Questo tipo di immagini alimenta un senso profondo di rappresentazione, facendo parte e radicandosi nel nostro immaginario collettivo».

Frame estratto da Visual Pain, 2023, Visual installation, 1,22 min. Estratto dall’ archivio Hyper Quotidiano, MI. Courtsey Francesco Canali

ll nostro “agire” pubblico, anche con un’opera d’arte, travolge il nostro quotidiano, la nostra vita intima, i nostri sentimenti o, meglio, la riproduzione di tutto ciò che siamo e proviamo ad apparire nei confronti del mondo. Tu ti definisci un’artista agli occhi del mondo?

«Non lo considero fondamentale; penso sia più importante per il mondo cercare di capire a cosa serve un artista. L’artista lo considero un lavoro come un altro; personalmente mi identifico con il lavoro e la ricerca che porto avanti, non per il nome che scelgo per definirmi. Il mio sguardo sul mondo non cambia e spero che il mondo non abbia bisogno di identificarmi come un artista a prescindere dal mio lavoro. Credo che ciò che conta sia ciò che si fa, indipendentemente dai bias che possono accompagnare un’identità artistica».

Dettaglio Hyper Quotidiano _ Vuoto di memoria. 2023, 10x 5 m, 200 foto rgb, stampate su Fujicolor 15 x 10 cm

Quale “identità culturale e pubblica” avresti voluto essere oltre a quella che ti appartiene?

«Non saprei, ma me lo chiedo spesso. Non credo di voler essere altro; confido nella libertà che mi consente questo lavoro di abbracciare ruoli diversi, contestualizzati di volta in volta nel mio percorso artistico. Se non avessi avuto la presunzione e la possibilità di intraprendere una ricerca artistica, sicuramente avrei optato per un lavoro artigianale, manuale. L’esigenza di voler essere altro risponderebbe a un limite riconosciuto verso il proprio lavoro e la propria identità culturale, che finora non ho avvertito».

Texture Maps, 2023, stampa su alluminio spazzolato, Pla, 80.5 x 46 x 0.3 cm, MI

Biografia

Giovanni Lo Castro è nato a Roma nel 1997, ora vive e lavora a Milano. Si è laureato alla Rome University of fine Arts in pittura a Roma, ora si sta laureando nel dipartimento di Nuove tecnologie a Brera in Net Art. La su ricerca si focalizza sulle potenzialità percettive dell’immagine attraverso l’uso e l’ibridazione di diversi media.

 

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